Il docente
precario che si è ucciso a Casandrino, vicino a Napoli, di chi è vittima?
Non è il
primo e non sarà l’ultimo a porre termine ad una vita priva di certezze e di
prospettive dignitose, quello che colpisce però è il contesto territoriale e
culturale in cui avviene il gesto estremo.
Mentre si
susseguono iniziative, ampiamente condivise da tutti e dalle autorità, per
sottolineare la presenza di delinquenza diffusa od organizzata, stenta a
crescere in quest’area la percezione delle cause delle emarginazioni, delle sofferenze,
che vivono milioni di persone.
Anche la
Chiesa, con tanti noti esponenti, sacerdoti, laici, è impegnata come altre
organizzazioni sociali a combattere il crimine organizzato che toglie spazio ad
un possibile sviluppo economico e ad una esistenza dignitosa per tanti
cittadini. Manca però in tutto questo chi si interroghi sulle ragioni per cui
una persona normale pone fine alla propria esistenza per ragioni non
attualmente “apprezzabili”. Non “apprezzabili” perché il loro esame risulta
difficile da accettare, perché pone interrogativi fondamentali sul modo in cui
si governa l’economia e la società.
Chi è
colpevole della morte prematura del docente precario e della sofferenza di
tanti che non hanno lavoro, reddito sufficiente, prospettive di vita dignitosa?
Nella terra
della delinquenza organizzata è colpa dei soliti noti, per i quali tutti siamo
d’accordo a prevedere strumenti repressivi sempre più duri? O bisogna guardare
altrove?
All’inizio
della crisi e con i primi provvedimenti composti da maggiori tasse, tagli,
abbiamo colto la gravità della crisi e ci è stato detto che occorreva, occorre,
fare sacrifici. Tra allungamento dell’età pensionabile, blocco degli aumenti
contrattuali, tagli agli organici delle amministrazioni, riforma dell’articolo
18, abbiamo colto, ancora una volta, resistenze esposte in maniera cruda e violenta
da parte della dirigenza pubblica ad accettare tagli (il 5%) sui mega stipendi
delle alte burocrazie. Stipendi che con la crisi in corso non hanno ragione e
che hanno radice in quel verminaio di corruzione (legalizzata) nato a metà
degli anni ’90, che viene alla luce di giorno in giorno con i vari scandali
giudiziari. I dirigenti dello Stato minacciarono di bloccare le attività
pubbliche (“sappiamo come fermare le procedure” dissero). Più modestamente lor
signori si sono rivolti ai Tribunali e alla Corte costituzionale. Hanno
ottenuto “ragione”: non si fa, viola diritti acquisiti!
Diritti acquisiti.
Cosa
vai a spiegare al docente precario di cinquant’anni che vive in uno Stato dove
chi lo comanda (le Autorità), chi costituisce classe dirigente, ha diritti
acquisiti che non vanno toccati!
Mente la
Corte costituzionale tedesca assicura l’interesse nazionale rispetto agli
impegni economici europei, qui da noi la Corte assicura i “diritti acquisiti”
dei Mandarini di Stato. Ecco una bella differenza tra Germania e Italia.
Il bello,
anzi la cosa tragica, è che di fronte ad avvenimenti di questo genere offerti
dalle Autorità, nulla succede, nessuna dimostrazione di protesta, silenzio
della politica, delle organizzazioni sociali… dei sindacati. Nemmeno una
fiaccolata di protesta.
Qui Autorità in colletti bianchi e Fiorito si danno la
mano, c’è poco da fare differenze. Si pone un problema di legittimazione
sostanziale ad esercitare i poteri, quando si valicano i limiti della decenza e
ci si può aspettare di tutto. E’ lecito chiedersi se certa delinquenza non
tragga giustificazione da un certo modo di vivere e governare di certa classe
dirigente di questo Paese. Domanda politicamente scorretta? Chissà!
Nel
frattempo altri si suicidano.
Mentre
continuano le fiaccolate per la legalità, condotte da venerabili sacerdoti,
spiriti laici e liberi, sarebbe il caso di rileggere le parole di San Tommaso
circa la tirannia e della liceità di opporre resistenza alla tirannia.
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