giovedì 30 giugno 2011

Pisani: "dead man walking"


Capita di sentire notizie clamorose da Napoli che riportano non solo di una grande operazione di sequestro di beni e di arresti di persone riferibili al contesto camorristico, ma capita soprattutto di sentire di indagini a carico del capo della Squadra mobile della città devastata dalla camorra, dalla illegalità di tutti i tipi e ora dai rifiuti.
Difficile farsi un’idea di quello che è appena annunciato, ma il clamore si percepisce tutto, anche dalle parole del capo della magistratura inquirente.
Cosa colpisce? Il poliziotto arrestato in pratica era quello che in America chiamano “dead man walking” il “morto che cammina”.
Interessanti i commenti e le parole in interviste dallo stesso rilasciate nelle settimane scorse e alcuni mesi fa. Pisani, il capo della squadra mobile, aveva espresso alcune valutazioni non alla moda nel tempo del conformismo politico-giudiziario. Basta riprendere queste interviste per capire quanto è grave affermare che spesso in una grande città il fenomeno del riciclaggio del denaro sporco ha a che fare con l’esigenza di professionisti di investire soldi incassati al nero o affermare altre considerazioni non allineate col pensiero dominante.
La vulgata generale non permette espressioni di pensiero di questo tipo, ma la realtà percepita mostra che è vero. E figurarsi se nella grande città di Napoli si possono macchiare camici e colletti bianchi al posto della più confortevole attribuzione di colpe alle varie gerarchie malavitose, così come ci viene narrato da qualche anno sulla falsariga della lotta contro gli indiani del West.
La realtà evidentemente è più complessa è ragionarci sopra, come ha fatto Pisani, diventa pericoloso. Al netto di cose che non è dato sapere al momento, risultano particolarmente inquietanti le risposte e le considerazioni che si leggono nelle interviste citate. Vale la pena di ricercarle con Google e leggerle.

domenica 26 giugno 2011

Napoletaneide

C’è chi invoca e chi si offre di raccogliere i rifiuti a Napoli, da volontario. C’è chi ricorda gli Angeli del fango che accorsero a Firenze, sommersa dall’alluvione, nel ’66. Slancio inutile di generosità per i primi, paralleli improponibili per i secondi.
La verità è che il problema dei rifiuti non è un accidente di questi giorni, dura da troppo tempo per giocarlo con le solite contrapposizioni tra i tifosi dell’una o dell’altra parte. Saranno vent’anni che il problema emerge in tutta la sua gravità. Lo scenario è sempre lo stesso, con il corredo di polemiche tra le istituzioni variamente interessate, il tentativo, spesso riuscito, di spostare i rifiuti in provincia o più lontano. Nel frattempo si sono costruite brillanti carriere politiche, si sono costruiti imperi economici, ognuno ha fatto la propria parte afferrando l’osso fino a spolparlo, anche senza arrivare alla fine.
E chi si offrirebbe come volontario? E chi può pretendere oggi di fare leva sulla buona azione dei cittadini? Dopo che si è visto di tutto e dopo che si vede di tutto in questo Paese, c’è qualcuno che possa pretendere di ottenere la mano gratuitamente? E chi oggi si potrebbe proporre, come novello Angelo del fango? L’Italia di quegli anni non c’è più, troppi sono stati e sono i cambiamenti. Nemmeno il dito puntato alla solita camorra fa più presa, perché il disservizio è dovuto ad un sistema che non funziona perché ognuno degli addetti ai lavori, a qualunque livello e con qualunque qualifica, capisce che basta fare un pò di sabotaggio per ottenere sempre di più.
La buona volontà dei singoli non può mai essere sganciata da un concreto progetto di azione pubblica, da un disegno di società. Dopo vent’anni di ritardi, di mancata realizzazione di quanto occorre per organizzare un servizio necessario, siamo alla declamazione dei no, siamo al punto zero, di nuovo. Una città che merita capacità di decisione soprattutto su temi e problemi ormai antichi resta impantanata nei rifiuti, come già avvenuto tante volte.
L’esperienza insegna che alcune cose sono proprio inutili per chi deve amministrare, soprattutto quando si affrontano le prime difficoltà: prendersela con chi c’era prima, prendersela con la camorra o con la “Spectre”, prendersela con gli altri che non collaborano. Ci sarà un po’ di tutto questo, ma non è che il modo migliore di risolvere i problemi sia quello di alimentare e di alimentarsi con le illusioni degli intellettuali e con le frenesie della plebe, tagliando fuori tanta parte della rappresentazione politica dell'intera popolazione. La storia di Napoli ha già vissuto esperienze dello stesso genere, pare che oggi si replica.
Speriamo bene.

sabato 18 giugno 2011

Napoli non è una cartolina



A Napoli c’è chi ha realizzato la Tangenziale. Correvano gli anni ’60.
Bassolino, nonostante tutto, ha realizzato un sistema di metropolitana che ha eguali solo in città europee. Altre amministrazioni hanno ideato e realizzato il Centro direzionale.
Ci sono amministrazioni e generazioni politiche che lasciano qualcosa di concreto e utile nell’arco della loro attività, nonostante circostanze e aspetti criticabili.
Risulta difficile annotare qualcosa per la quale sarà ricordata l’ultima amministrazione partenopea.
Attenzione, è chiaro che la capacità di un’amministrazione non deve essere sottolineata solo nella realizzazione di opere pubbliche. Anzi, molte volte c’è sperpero di calcestruzzo ad uso degli amici. Gli esempi sono tanti.
Molto può fare un’amministrazione nella organizzazione dei servizi sociali, dell’istruzione, dell’ambiente o del turismo e prima di tutto per lo smaltimento rifiuti.
Superati gli entusiasmi della vittoria elettorale le amministrazioni che si insediano devono porsi alcuni grandi obiettivi. Quali per la città di Napoli?

Sembra che l’interminabile, stantio, dibattito sulla visione urbanistica della Città debba concludersi sempre allo stesso modo: Napoli è una cartolina e non deve essere toccata.
Questa visione non è più proponibile perché causa guai immensi alla Provincia (in termini di esodo dei cittadini napoletani) e alla stesa Città.
Occorre invertire la rotta e iniziare a pensare che tanti quartieri degradati di Napoli non hanno più nulla da offrire ai suoi abitanti e a i possibili turisti che si avvicinano alla Città. Ci sono interi quartieri di città europee, e che tanti italiani visitano, che sono stati costruiti da zero dopo i devastanti bombardamenti della II guerra mondiale. Distinguere tra i pochi palazzi preesistenti e i palazzi ricostruiti risulta difficile.
I quartieri Spagnoli, sui quali si dibatte da almeno un secolo, tranne pochi edifici, sono il simbolo della rovina edilizia e umana di Napoli. Abbatterli per ricostruire un quartiere efficiente e architettonicamente compatibile con via Toledo sarebbe cosa meritoria.
La politica dovrebbe dare risposte convincenti in questa direzione.
La stessa questione dei rifiuti ha al centro della discussione la difficoltà di individuare luoghi per le strumentazioni (qualsiasi) che oggi si ritengono necessarie per il ciclo di smaltimento. Perché non prendere esempio da altri stati e città dove hanno osato realizzare isole artificiali per insediare aeroporti o centri turistici? Napoli ha una lunga linea di costa e qualche punto, non paesaggisticamente rilevante, si presta allo scopo.
Sarebbe bello immaginare il congiungimento tra il porto e piazza Municipio. Se ne era parlato, ma pare che l’idea sia stata messa da parte. Sarebbe bello immaginare la discesa di turisti, ma anche di cittadini, dai vaporetti e dalle navi senza essere travolti dalle macchine di via Acton.
In Giappone c’è un tempio costruito duemila anni fa, in legno. I tanti pezzi che lo compongono vengono sostituiti periodicamente da pezzi nuovi. Sembra antico nell’insieme, ma è nuovo nelle sue componenti. La città che si rinnova è così: antica, ma impercettibilmente nuova.

martedì 14 giugno 2011

Una lezione per tutti



E’ bastato un referendum e soprattutto i quesiti sull’acqua e i servizi per capire, dopo anni di ubriacatura, che in questo Paese la gente non ne può più del pensiero unico che impone privatizzazioni e liberalizzazioni truccate.
La lezione vale per molti, per tante parti della politica italiana e forse ci aggancia a quello che sta succedendo in altri paesi, ove i morsi della crisi si avvertono più ferocemente, ove le ganasce dei tagli e delle decurtazioni dei redditi stanno provocando rivolte e manifestazioni di massa.
Erano anni ed anni che in Italia il linguaggio della politica era intriso dell’economicismo del sistema di potere che sottrae risorse, forza produttiva e speranza a cittadini, giovani, imprese; il tutto applicando le regole della globalizzazione, che tanto favoriscono il capitale e la finanza e tanto impoveriscono le persone.
Se e come il risultato referendario riguarda direttamente Berlusconi, riguarderà sicuramente anche buona parte dei suoi oppositori, comprese le nuove forze di centro, tutti inclini a votare leggi ad uso dei Poteri forti, come si usa dire.
Senza l’imbarazzo di nomi e simboli, per una volta gli elettori hanno dato un segnale importante su temi significativi e la speranza è che i partiti rinnovino, programmi, linguaggi, obiettivi.
La storia, anche quella recente di questo Paese, insegna che scalzato un re non vengono per forza premiati i suoi oppositori, tanto meno i congiurati e se cade un fronte politico non sempre vive giorni tranquilli l’altro. Accadde con la caduta del Muro di Berlino: tutti a pensare ad un interminabile dominio democristiano e poi le cose andarono diversamente.
C’è da vedere in tutto questo come reagirà il fronte del liberismo dominante. In fondo i cittadini hanno abrogato leggi italiane, ma sulla privatizzazione dei servizi l’Europa ha già detto la sua…..vedremo.

domenica 12 giugno 2011

La vera posta in gioco



“I referendum sull'acqua e sul nucleare (a parte quello sul legittimo impedimento) indicano obiettivi più ampi di quello che troveremo letteralmente sulla scheda.” Era il 14 maggio e scrivevo così quando non era ancora avviata la campagna referendaria.
Il confronto avviato sui temi dell’acqua, soprattutto, ha messo in luce proprio quello che sottolineavo, ponendo in luce imbarazzi e difficoltà sul significato vero di questi quesiti. Dopo anni ed anni di politiche economiche che hanno visto una convergenza senza confini politici sul mantra delle privatizzazioni, questa dei referendum costituisce un’occasione unica per riflettere e ripensare su quello che è accaduto.
L’esito dei referendum sull’acqua sarà decisivo per rimodulare programmi politici, alleanze, obiettivi. Senza gli ostacoli costituiti da nomi e simboli, i cittadini hanno oggi e domani la possibilità di segnalare tutto il malcontento che serpeggia nella società su politiche che dimostrano di essere solo strumentali agli interessi delle grandi imprese e del mondo finanziario.
Quello che si propagandava da parte di tante forze politiche nel corso degli anni’90 ed oltre circa le magnifiche virtù di una economia in cui il mercato avesse più spazio rispetto all’iniziativa pubblica, ha avuto esiti del tutto deludenti e ormai tragici per quegli stati ove la strada intrapresa è stata simile.
Si diceva: con le privatizzazioni e con il mercato che entra nella gestione dei beni pubblici si avrà una riduzione del debito pubblico, una migliore gestione, tariffe più basse.
Il riscontro rispetto alle aspettative è del tutto negativo: il debito pubblico, nonostante l’introito delle dismissioni, continua a crescere, la gestione dei servizi non ha portato a grossi miglioramenti in riferimento al rapporto entrate/uscite dei titolari delle concessioni, le tariffe volano.
Il mondo che gestisce le reti e i beni pubblici e le sue connessioni con la politica mostra più di prima incrostazioni immorali o illegali.
Certo il tema della distribuzione dell’acqua è un tema complesso, per i costi e per l’essenzialità del bene in questione, ma questo, insieme agli altri servizi, possono essere regolati in modo da evitare le conventicole localistiche (che i privatizzatori temono) ed evitare la piena devoluzione alle grosse finanziarie internazionali di beni e reti essenziali.
Lunedì si saprà se una parte sufficiente di italiani ha inteso effettivamente qual è la posta in gioco con questi referendum.

domenica 5 giugno 2011

Chi è convinto dei 4 sì ?


Non per fare il guastafeste, ma è meglio dire adesso di certe impressioni, sperando ovviamente di essere smentito.
Dopo la sbornia elettorale con le sue molteplici chiavi d’interpretazione e che ha visto l’affermazione degli outsiders De Magistris e Pisapia, siamo ad un momento fondamentale. Domenica e lunedì, per i referendum, scopriremo veramente di che pasta è fatto il Pd, Partito democratico, e se oltre il colore e la bandiera vi è qualcosa, ai suoi livelli dirigenti, che faccia riferimento ai valori declamati da ogni entusiasta militante di quella parte politica.
La mia sensazione è che Bersani ed altri hanno obtorto collo pronunciato il favore per i 4 sì ma avvertono la difficoltà di impegnarsi veramente su quei temi. C’è l’impressione di una scarsa partecipazione e di uno scarso impegno sui temi referendari, soprattutto sull’acqua, ma anche per quello relativo al nucleare.
Le ragioni sono evidenti. La questione acqua non è solo una grande questione sulla quale sono puntati interessi di imprese e di ambienti delle burocrazie politiche, è proprio il quesito privatizzazione sì - privatizzazione no a creare problemi al Partito democratico. Le privatizzazioni sono il sale della politica europea, rispetto alla quale mai c’è stato un segnale di riflessione da parte dei leader del Pd.
Per chi avesse dimenticato, ricordo che la nascita di quel partito è stata imposta da Prodi nel pieno della fase di privatizzazioni che venivano adottate a tutto spiano negli anni passati dal centro sinistra al governo. Dire oggi, domenica, un no (sostanziale) ad un processo di privatizzazione con enormi ricadute economiche significa contraddire la ragione sociale di quel Partito, significa rinnegare rapporti, attese, alleanze, significa in altri termini una svolta in materia di politica economica così come determinata in questo Paese da 15 anni.
I segnali ci sono tutti, basta seguire un po’ di rassegna stampa e le dichiarazioni di tanti esponenti politici per capire che l’appuntamento con i referendum sta creando enormi mal di pancia.
Se (ma spero di no) il risultato sarà negativo sarà ancora più evidente il mutamento culturale e politico che caratterizza la sinistra maggioritaria in questo Paese e la comune attenzione di tanta parte del ceto politico nazionale (di ogni colore) a servire gli interessi e i desideri del mondo economico.
Spero invece che la novità delle ultime elezioni comunali dove sono emerse decisioni e convergenze non perfettamente riconducibili ai principali partiti politici possa ripetersi nell’occasione dei referendum. Sarebbe il segnale evidente che dopo tutto tanta gente non si è assuefatta al Pensiero unico che domina le sorti della politica di questo Paese.
La situazione di crisi che attraversa l’Italia rende normale e doverosa una manifestazione di dissenso rispetto allo stato presente. Meglio un voto che i forconi.