venerdì 31 dicembre 2010
Te Deum laudamus
A quest’ora dell’ultimo giorno dell’anno si può celebrare l’inno di ringraziamento per i mali correnti dei nostri tempi. Così come un tempo si enunciavano lodi per il buon raccolto di grano o uno scampato pericolo, oggi, laicamente, leviamo lodi per non essere stati raggiunti dalla cartella pazza, dall’avviso per la tassa rifiuti, dall’accertamento di questo o quel tributo. Almeno per gli accertamenti che si prescrivono in annualità, per questo che giunge a conclusione, è finita. Poi si vedrà, per il momento: lodi, lodi,lodi.
Per i Maestri dei Bamboccioni sembrerà strano ed anche blasfemo, ma così come avvenne alla fine dell’Impero Romano dobbiamo rivolgerci alla sfera spirituale per trovare uno stato di grazia almeno per un giorno. Il monachesimo infatti nacque anche per sfuggire alle angherie del fisco al servizio della classe equestre, sempre più esoso.
Poi si vedrà, tra pochi giorni ricominceremo col canone Rai (è sempre la prima tassa, anche se modesta; ma se si pensa a certi ingaggi….).
I Maestri dei Bamboccioni e i soloni della legalità a carico degli altri non vivono la condizione dei tanti che anche in questo Paese debbono fare i conti con un fisco vorace che tutto mangia e tutto stritola pur di mantenere in buone (a volte floride) condizioni la Casta che decide. I Maestri che incitano i Bamboccioni e che affermano che “pagare le tasse è bello” non si collocano sul Mercato, vivono al riparo dalle tempeste e pretendono le gabelle, una, due volte, anzi tre, come pretendevano dal Troisi proiettato nel Medioevo.
E’ di questi giorni la disavventura raccontata dal costituzionalista Michele Ainis che si è visto rifiutare un mutuo dalla banca perché il suo immobile era oggetto di un’ipoteca accesa dall’Equitalia per tasse (per poche migliaia di euro) non pagate e di cui non era stato avvisato. Le disavventure che vivono i cittadini e le imprese sono tante e non c’è spazio per sicurezza alcuna basata sul comportamento corretto, perché sanzioni ,anche per violazioni formali, fioccano comunque. Né c’è tregua per la crisi economica che imperversa, i gabellieri moderni pretendono tutto, compresi interessi e sanzioni. Roba da usura.
Con la partecipazione degli agenti sull’utile della riscossione e la “esternalizzazione dei tributi” c’è poco da sperare, molti ci guadagnano. L’ultimo affare, l’ultimo assalto alla diligenza pubblica, la famigerata “esternalizzazione dei tributi” sta dando già i suoi frutti e così le glorie della gestione dei rifiuti a Napoli saranno replicate dalle nuove glorie della tassazione sui rifiuti e su gli altri tributi.
Cosa ne sanno i Maestri dei Bamboccioni e i faraoni posti al vertice della piramide burocratica delle cinghie che si stringono e dei redditi che si assottigliano? La Casta non mostra smorfie di dolore, né pietà: quello che è suo è suo e non c’è crisi che tenga.
Sarà il cappio troppo stretto al collo del mondo produttivo a minare le fondamenta della piramide?
Chissà, nel frattempo si sentono strani scricchiolii per l’accordo Fiat. Il Marchionne dal maglioncino blu ha suonato la campana: la Polonia e la Serbia sono arrivate in Italia.
Il Mercato si allarga…la Casta trema!
lunedì 27 dicembre 2010
La notte della politica

Dalla cronaca:
“Il capogruppo Pd al Senato ha informato i colleghi che in considerazione dell’approssimarsi delle festività natalizie saranno comprati oltre 100 pc multi-touch utilizzando i contributi che ogni gruppo parlamentare riceve dallo Stato.” “Berlusconi ha riservato alle 37 parlamentari Pdl un anello tricolore, tre fedine create da un gioielliere piemontese: una di oro rosa con rubini, una di oro bianco con brillanti, una di oro giallo tempestata di smeraldini. Al modico prezzo di 1.400 euro, pagati sull’unghia con i soldi (pubblici) a disposizione del partito”.
Dal dibattito politico:
qualcuno trova irritante che una notizia, come la riduzione del 61% dei finanziamenti su Napoli, sia ridotta a chiacchiericcio ed afferma “Togliere oltre 300 milioni alla città di Napoli significa farla morire.”
Cosa dovremmo fare, incazzarci come tifosi per la perdita di soldi che la riforma federalista provocherà alla città di Napoli o ad altri comuni (per la verità non solo meridionali)?
Cosa dobbiamo ricordare?: i 700 mila euro che la regione Campania sta per spendere coi soldi pubblici per permettere ai suoi funzionari di acquisire il biennio specialistico all’Università per ottenere qualifiche dirigenziali? E gli studenti, le forze politiche, dove sono in questo caso? Il nemico è la Gelmini, mentre qui nessuno dice niente. E chi ha detto qualcosa quando il Comune di Napoli ha speso 750.000 euro per Eltohn John a Piedigrotta? Chiunque può arricchire il quadro degli sprechi con esempi presi dalle cronache degli ultimi mesi ed anni.Mentre Napoli è invasa dai rifiuti.
Và sottolineato pure questo protagonismo delle assemblee elettive (Parlamento e consigli locali) nell’alimentare la spesa pubblica (che pure dipende dalle entrate tributarie) in contrasto con il primo compito dei parlamenti che sono nati proprio per regolare e respingere decisioni di spesa dei sovrani, ovvero dei governi. C’è una rincorsa patologica dunque tra esecutivi e legislativi a chi spende di più
Non è che si può continuare a lungo con questo modo di argomentare e di agire in politica, che vede, ad onta della crisi economica, lo Stato come il gestore di risorse a richiesta dei più forti che si autogovernano. Perché di questo si tratta. I più forti oggi sono quelli che, posti in qualche modo nelle leve pubbliche, hanno la capacità di condizionare le scelte e l’erogazione delle risorse pubbliche. Mica sono gli operai e contadini di un tempo. Mica sono i precari di un mondo del lavoro senza garanzie. Certamente non centrano i 18 imprenditori suicidi in quest’anno. Tutta gente per altro non presente nei luoghi della politica.
Nemmeno di fronte ad una crisi di sistema oggi la politica in Italia riesce a cambiare linguaggio, indirizzi, pensiero e di fronte alla evidente difficoltà di tanti, agisce (tutta insieme) come le classi alte dell’ Ancien Regime, capace, come Maria Antonietta, di invitare i derelitti a mangiare brioches al posto del pane, mentre si assegna privilegi, titoli e regali.
Se non si possono assaltare i bancomat, perché sono sacri e nemmeno utilizzare i forconi, perché antiquati, chi comincerà a invocare nuove parole? Quando finirà la notte di questa politica?
mercoledì 22 dicembre 2010
E' Natale
E' nato come film di Natale (1947) ma molti si chiedono cosa altro significa. Il capolavoro del siculo-americano(Frank Capra) può essere spiegato solo dalla canzone di un pugliese (Domenico Modugno). Basta vedere e ascoltare.
domenica 19 dicembre 2010
Mettere le mutande alla protesta

Questi che seguono sono frammenti delle biografie di personaggi che hanno fatto la storia dell’800 e del ‘900.
Lenin “Il 7 dicembre 1895, mentre lavorava al primo numero del giornale illegale Causa operaia (Rabocaja Gazeta), venne arrestato e, dopo un anno di carcere, condannato a tre anni di esilio a Susenskoe, in Siberia (1897-1900).
Mazzini “Nel 1830 viene arrestato e rinchiuso nella Fortezza di Savona.”
Garibaldi “Il 24 settembre 1867 fu arrestato a Sinalunga su ordine del governo mentre stava preparando la marcia verso la capitale.”
Mussolini “È espulso due volte dal paese: il 18 giugno 1903 è arrestato come agitatore socialista, trattenuto in carcere per 12 giorni, e poi espulso il 30 giugno; il 9 aprile 1904 viene incarcerato per 7 giorni a Bellinzona a causa di un permesso di soggiorno falso. Nel frattempo riceve anche una condanna a un anno di carcere per renitenza alla leva militare.”
Togliatti “il 21 settembre 1923, venne arrestato insieme con Tasca, Vota, Leonetti, Gennari, Mario Montagnana, Teresa Noce e Caterina Piccolato.Denunciati per «complotto contro la sicurezza dello Stato», furono assolti in istruttoria dopo tre mesi di carcere preventivo passati a San Vittore.”
De Gasperi “L'arresto di De Gasperi avvenne nella stazione di Firenze l'11 marzo 1927. L'ex Segretario del Partito Popolare era in viaggio verso Trieste, con la moglie. Accusato di "tentato espatrio clandestino", fu rinchiuso prima nel carcere fiorentino delle Murate poi trasferito a Roma, a Regina Coeli.”
Berlinguer “Nel gennaio del 1944 la fame spinse la popolazione a saccheggiare i forni della città e Berlinguer fu accusato di esserne stato uno degli istigatori. Fu quindi arrestato e trattenuto in carcere per tre mesi, dopo i quali fu prosciolto dalle accuse e liberato.”
Capanna “Il 25 marzo è di nuovo la Cattolica a conquistare l’attenzione, per via di una manifestazione davanti alla basilica di Sant’Ambrogio in cui Capanna viene arrestato e successivamente espulso dall’ateneo.”
Evidentemente per cambiare le cose a volte c’è bisogno di assumere iniziative e comportamenti che non sono accettati dall’ordinamento vigente. Ma è lo stesso ordinamento vigente che a sua volta nasce, è nato (spesso) da un rivolgimento di quello preesistente. In Italia l’Assemblea costituente (Pertini, Nenni…) era composta da una buona percentuale di ex galeotti.
Sicuramente all’epoca dei personaggi indicati non c’erano i bancomat (ed è un male colpire i bancomat,come era un male assaltare i forni ai tempi di Berlinguer)ma mettere le mutande alla protesta come propone qualcuno oggi è davvero risibile. Nemmeno mettere il bavaglio alla protesta è cosa nobile: la protesta del 14 dicembre aveva uno spettro di rivendicazione e di sdegno più ampio, così come quelle di Atene, Londra e altrove.
I signori del politicamente corretto non possono pretendere di aizzare la folla e guidarla contro un unico obiettivo. La protesta di oggi va ben oltre il ricambio del perfido Berlusconi, si rivolge contro un sistema non giusto, come spesso è accaduto in altri momenti della storia.
A qualcuno dispiace?...Pazienza.
giovedì 16 dicembre 2010
Americani a metà.

Capita che su una pagina di Facebok si apra una discussione sull’attività dell’amministrazione comunale e si parli del segretario comunale che guadagna 130.00 euro, in un paese di 31 mila abitanti.
Capita di vedere un servizio del telegiornale dove, con i relatori, discutono (ad occhio) trecento persone: dirigenti dello Stato, di Agenzie dello Stato, di varie altre amministrazioni pubbliche, anche generali. Il tema è quello dell’evasione fiscale, argomento ricorrente nella discussione politica in Italia.
Se potessimo fare la somma dei redditi di quegli alti dirigenti pubblici arriveremmo (assegnando a ciascuno almeno 100.000 euro) ad un totale di 30 milioni di euro. Quante tasse di falegnami, di salumieri, di geometri, di insegnanti e di operai, occorrono per pagare 30 milioni di euro per trecento dirigenti pubblici convenuti per parlare di “evasione fiscale”?
L’evasione fiscale esiste e riguarda ogni categoria: l’insegnante che fa lezioni private, il tecnico del comune, il medico ospedaliero, per dire dei casi più comuni. Ci sono sistemi più sofisticati di evasione e di elusione. Riguardano anche questi gli autonomi, le imprese e i lavoratori pubblici.
La sciocca considerazione che sentiamo ogni volta nei dibattiti politici e cioè che occorre combattere l’evasione fiscale ci fa dimenticare quello che succede in questo Paese.
Da un certo punto in poi è successo che il differenziale che esisteva tradizionalmente tra lavoro pubblico e privato si è rovesciato. In cambio del “posto fisso” il lavoratore pubblico riceveva un reddito contenuto, rispetto ad un pari qualifica del settore privato. Perché?Ovvio, perché nel privato ci sono rischi e costi che chi lavora nel settore pubblico non sopporta.
E’ successo che nel percorrere i soliti indirizzi di stampo anglosassone i dirigenti e funzionari dell’amministrazione pubblica in Italia sono diventati tutti “manager” con conseguente aumento dei redditi. Ancora una volta però le riforme si fanno a metà, ancora una volta facciamo gli americani a metà, perché il concetto stesso del “posto fisso” nei paesi di lingua inglese non esiste.
Succede allora che il settore pubblico da qualche anno, soprattutto a partire da certe qualifiche,è diventato una “casta” che esercita potere, lucra alti redditi e mantiene però l’intoccabilità del posto di lavoro, come fossimo ai tempi dell’impiegato di De Amicis. Il discorso qui svolto ovviamente non vale per le tante forme di lavoro precario che stanno contagiando anche il settore pubblico, con scarsa sicurezza e reddito basso.
Quello che non và dunque è il mantra stancante che viene ripetuto da certa parte politica che divide la società in onesti ed evasori.
La crisi che stiamo attraversando manifesta l’insopportabilità di questa situazione. L’enorme onere dell’amministrazione pubblica, a partire dai costi del personale e delle sue qualifiche più alte, non è più sostenibile, perché se tutto viene dalla Cina si arriva alla conclusione che non c’è più trippa per gatti.
Il salumiere poteva sostenere il segretario comunale quando quest’ultimo “costava” 60 milioni di lire, non oggi che “costa” 130 mila euro.
Viene da considerare ancora una cosa, che certi stipendi, emolumenti ,del settore pubblico assumono, a mio parere, valore corruttivo, se non tangentizio.
Certi alti redditi, i cumuli di lauti stipendi, con contorno di auto blu e altri privilegi, sono moneta di scambio perché l’esercizio del potere pubblico sia convenientemente adeguato ai poteri collaterali. Il parlamentare con alti emolumenti, il grande dirigente, il funzionario che cumula stipendi, gettoni, indennità, entra in un vortice di interessi che sicuramente poco hanno a che fare con le garanzie di buon andamento e di imparzialità imposti dalla Costituzione.
Sarebbe il caso, a questo punto, che chi intende fare politica in nome del popolo capisse finalmente dove si situano le cause di sfruttamento e di impoverimento dei lavoratori. Invece di scimmiottare gli americani e di levarsi il cappello dinanzi a Lor Signori, converrebbe tenere a mente (a tacer d’altri) il Berlinguer che sottolineava il valore dell’austerità.
P.s.: va da se che pagare le tasse per intero su stipendi da nababbo non risolve il problema. Tutti vorrebbero pagare le tasse sui redditi di Lor signori. L’importante è averlo quel reddito.
martedì 14 dicembre 2010
Rivoluzioni colorate

Resta sempre necessaria la premessa: Berlusconi non può detenere il potere politico perché è già titolare di un forte potere economico. Ricordato questo elementare principio non scritto di una democrazia sostanziale, si può fare qualche considerazione sugli avvenimenti di questi giorni e ore.
L’aveva preannunciato Luttwack circa un anno fa che Berlusconi non era più gradito alla guida del Governo italiano, confidando invece in Fini, e in questi giorni, dai messaggi di wikileaks, si ha avuto la conferma che l’ambasciatore Usa in Italia si muoveva conformemente per dare una spallata al Governo, dando anche qualche aiutino a politici dell’ex maggioranza.
La decisione di andare al voto in Parlamento per verificare l’esistenza di una maggioranza è elemento di chiarezza che ha un solo precedente, quando Romano Prodi in due occasioni lasciò il Governo in conseguenza di un voto di fiducia che non raccolse la maggioranza. In un sistema politico che tutti vogliono chiaro e lineare in relazione al’esito del voto dei cittadini, non sembra che tali decisioni siano da respingere.
In oltre sessant’anni di vita della Repubblica italiana le tante crisi sono state di natura extraparlamentare, ovvero le dimissioni del Presidente del consiglio non erano dovute ad un dibattito e ad un voto parlamentare. Dobbiamo rimpiangere le crisi extraparlamentari? E perché?
Le ragioni evidentemente sono diverse.
La paura della conta: Fini non era sicuro dei voti in Parlamento e soprattutto voleva trattare un ricambio alla guida del centrodestra rimpiazzando il cavaliere. Ogni altro scenario era ed è solo tattica (CLN fino a Vendola o terzo Polo).
Il Pd non può pretendere di sovvertire il risultato elettorale e teme le scelte da prendere soprattutto in campo economico. Anche l’Udc è dello stesso parere e dunque la sostituzione di Berlusconi con un voto negativo per lui era solo un passaggio per avviare il solito Governo tecnico, magari presieduto da un illustre grand commis.
Lo scenario politico all’approssimarsi del dibattito in Parlamento e nel giorno del voto si è arricchito di manifestazioni imponenti, colorate e organizzate come mai in Italia era avvenuto in occasione, non di dibattiti su materie specifiche, ma di appuntamenti prettamente politici come il voto di fiducia. Qual è la vera posta in gioco?
Ora che la partita è finita (?) sembra di osservare un campo di battaglia in cui poco vi è di spontaneo e molto appare di etero diretto. Non è una novità, in questo Paese è successo spesso e succederà ancora.
sabato 11 dicembre 2010
Rottamatori

Ma perché meravigliarsi se Marchionne lascia la Confindustria? Si tratta dell’esito finale di una linea del tutto coerente di un’impresa che pienamente vive la cosiddetta “globalizzazione” con tutte le sue implicazioni, così come già la vivono altre grosse imprese multinazionali.
Sarà anche che Marchionne ha poco degli italiani, avendo vissuto all’estero, sarà che membri importanti della famiglia Agnelli non sono più presenti al comando del Gruppo, di fatto queste sono le conseguenze di un fare impresa che non ha più come riferimenti il territorio, lo Stato, la comunità, le organizzazioni sociali. Si tratta di fare impresa avendo come obiettivo solo il massimo profitto, a prescindere da ogni altra implicazione.
Chi applaudiva la “globalizzazione” non considerava che per il capitale è facile, basta un clic sul computer e si spostano soldi e titoli, più difficile è spostare operai,impiegati, famiglie.
Nemmeno il capannone costituisce più un problema perché nel mondo produttivo, senza confini, c’è sempre un governo, che preso per la gola, ti finanzia la nuova fabbrica e dunque puoi abbandonare la vecchia a marcire.
Anche le istituzioni sovranazionali alimentano questi percorsi. In questi giorni si ha notizia della Comunità Europea che finanzia a condizioni di favore la nascita di aree industriali in Cina…proprio in Cina!
Del resto il caso Pomigliano d’Arco è sorto proprio perché la Serbia e la Polonia(con soldi dell’Europa e dunque anche degli italiani) agevola produzioni in quei Paesi in condizioni che sono ben diverse da quelle che hanno conosciuto i dipendenti Fiat in Italia. Contraddizioni? No, si tratta della naturale evoluzione di un ideologia (questa sì, dato che le altre sono scomparse) che per ampliare sempre più la sua capacità di fare profitto a beneficio degli azionisti e dei dirigenti non tollera, anzi distrugge, ogni cosa che costituisce un limite.
La”globalizzazione” non tollera limiti, di lingue, di normative, di usi, di tradizioni, e con le buone o con le cattive apprende, conquista, distrugge. Ha una carica deflagrante che si rivolge contro chiunque o qualunque cosa sia di ostacolo. Anche il contratto nazionale di lavoro è un ostacolo, occorre che il lavoratore sia solo e legato da un contratto individuale con l’azienda. Tanti contratti, poca rappresentanza generale, scarsa tutela. Già succede con le forniture di servizi: telefoni, elettricità ed altri.
Ma prima ancora di essere un fatto economico il pensiero che è alla base di questo grande evento è un fatto culturale; ha vinto e stravince perché la sua attuazione è stata accompagnata da una grande ed estesa operazione di convincimento o di adeguamento alle novità che portava. Operazione che và avanti da anni e che ha prodotto un sentimento significativo per molti e cioè la ineluttabilità del fenomeno. Quante volte si è sentito dire: “nulla si può fare”?
La sconfitta è propria in questo e cioè che oggi, a differenza di altri momenti in cui logiche di questo tipo si sono presentate, manca qualsiasi capacità di reazione. Di fronte ai danni della prima industrializzazione di fine ottocento sono nate in campi diversi, del pensiero, della politica, strutture, culture, azione capaci di tenere testa alle estreme conseguenze che reca la logica del profitto. Oggi no, tutti hanno applaudito ed applaudono, a partire da chi aveva ed ha rappresentanza politica.
Quello che succede in questi giorni nella politica italiana è caratterizzato proprio da una rincorsa tra molti che si propongono di servire meglio la logica del profitto.
Una vera rottamazione dovrebbe partire proprio da qui, dalla capacità di indicare percorsi diversi da quelli che sono stati seguiti da un’intera classe politica, che negli anni si è piegata ad ogni volontà dei poteri economici. D'altronde si è imbecilli a qualunque età e ne abbiamo ampiamente prova.
mercoledì 8 dicembre 2010
L'assalto al Palazzo!

«Il mio stipendio - dice Catricalà - è paragonato a quello del primo presidente della Corte costituzionale ed è di 500 mila euro e rotti. Ha avuto per l' anno prossimo la decurtazione del 10 per cento e io penso che sia giusto...». Ma Catricalà - fa notare Report - si porta a casa anche i 9 mila euro netti al mese in qualità di fuori ruolo dal Consiglio di Stato.
Di fronte a queste notizie, che riguardano in misura o qualità tante persone in Italia, verrebbe voglia di dire: finalmente abbiamo trovato il Palazzo da assaltare. Perché la “Rivoluzione”, che da ultimo richiedeva Monicelli (sarà stato vero suicidio?) nella storia ha avuto sempre un Palazzo, un luogo d’assaltare o occupare: il Palazzo d’Inverno per Lenin, Roma per il Mussolini della Marcia, la Bastiglia per i francesi, ancora Roma per Garibaldi.
Non è che uno può fare lo scioperetto di sabato, col panino al seguito, senza dare fastidio a nessuno, ma solo provocando un po’ di traffico. Che tempi! Non ci sono più gli scioperi e le manifestazioni di una volta.
Uno vorrebbe che se proprio si vuole esprimere sdegno con una scalata, si scalasse magari il balcone del Palazzo importante e dunque cari Bersani, Di Pietro e Vendola, invece di scalare i tetti della facoltà di architettura, potevate scalare il Palazzo dell’Autorità per la Concorrenza ed il Mercato, a Roma, dove, come abbiamo sentito, Catricalà prende doppio stipendio, a tacer di altri emolumenti; il tutto ovviamente legalmente. E sì! in questa nostra Repubblica le cose si fanno per bene, mica come nella I Repubblica, oggi si organizza tutto secondo Legge.
I nostri amici, Bersani ed altri, ci avrebbero se non altro risparmiato la comparsata dell’illustre al successivo Ballarò, dove il medesimo abbozzava su alcune sue ricette per attuare il Mercato, il fatidico Mercato che vale sempre per tutti gli altri e mai per gli ospiti del Palazzo.
Chissà perché nemmeno di fronte ad una crisi così grave i Nostri assaltano i Palazzi giusti, si perdono… Valli a capire!
domenica 5 dicembre 2010
Elenchi
Da Wichipedia: “Germania anno zero è un film del 1948 diretto da Roberto Rossellini e girato tra le macerie della Berlino dell'immediato dopoguerra. Il giovane Edmund vive con il padre gravemente malato, la sorella e il fratello, tutta la famiglia pesa sulle spalle del ragazzo.
Un giorno incontra un suo vecchio maestro, un ex nazista che ormai non ha più l'abilitazione ad insegnare; il viscido docente lo affascina con le sue teorie secondo cui “i deboli devono soccombere e i forti sopravvivere”. Edmund torna a casa e di nascosto avvelena il padre che esala l'ultimo respiro. Torna dal maestro per confessare il suo parricidio ma questi, terrorizzato e temendo di essere coinvolto, gli dà del pazzo e dell'assassino.
Il ragazzo, sconvolto, non ha il coraggio di tornare a casa, e nel suo vagabondare sente il suono di un organo uscire da una chiesa. Edmund si arrampica allora su un campanile pericolante da cui vede trasportare via la salma del padre. Senza più speranze, prostrato dal rimorso, si butta allora nel vuoto.”
sabato 4 dicembre 2010
Il furore dei banchieri
La situazione economica di questi tempi può essere un’utile occasione per riflettere su quelli che sono stati momenti cruciali della storia del novecento, al di là di categorie e interpretazioni che sembrano intoccabili.
La crisi di questi anni è stata paragonata a quella che emerse nel 1929 e che caratterizzò i successivi anni trenta. Quella crisi nacque come crisi del sistema bancario che aveva alimentato, soprattutto nei Paesi anglosassoni, una eccessiva “finanziarizzazione” dell’economia, ovvero una eccessiva espansione del credito per imprese, famiglie e sistema pubblico. La fine di quel ciclo (prima o pi arriva sempre)provocò disastri che coinvolsero le banche e l’economia reale.
La risposta del sistema politico tuttavia fu diversa da quella che oggi percepiamo. A partire dal presidente Rooselvet negli USA (tacciato di comunismo) agli Stati europei, in maniera più o meno accentuata, vi fu un intervento dello Stato nell’economia. In Italia, per quello che ci riguarda, si pose con la Legge bancaria una netta distinzione tra banche d’affari, che svolgevano attività di finanziamento alle grandi imprese, e le banche ordinarie che servivano famiglie e piccole imprese. Lo Stato con l’I.R.I. intervenne per rilevare gruppi industriali in dissesto e che erano entrati nella proprietà delle banche. Gli Stati, non solo in Italia, sostennero le banche ma acquisirono beni industriali e quote di proprietà delle banche stesse. L’intervento pubblico riguardò la previdenza e la sanità e vasti programmi di lavori ed opere pubbliche furono avviati.
Quello che vediamo oggi è pari nella origine della crisi, ma è del tutto differente per la sua soluzione. La crisi delle banche viene affrontata con il sostegno degli Stati, sia pure attraverso la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, non ricevendo gli Stati null’altro in cambio. Anzi, come è stato notato, le banche e la finanza utilizzano il denaro pubblico (con consequenziale aumento del debito pubblico e restrizioni alle economie in generale) per investire ancora e di più sui titoli pubblici, soprattutto di quei Stati in difficoltà (perché sono costretti ad offrire maggiori interessi).
Come è possibile che in presenza di un dibattito politico che utilizza le categorie della Destra e della Sinistra non si coglie l’evidente comunanza di azione che vede il mondo bancario come entità intoccabile? Si è passati dalla formula “ il costo del lavoro è una variabile indipendente” alla diversa formula “ bisogna tener conto dei mercati” che, tradotto, significa dobbiamo servire le banche e la finanza con i soldi dei cittadini.
Che tali temi non siano più nella disponibilità delle forze politiche è evidente, basta seguire il tenore dello scontro politico e i contenuti dell’informazione per capire che la distinzione è solo tra chi vuole servire meglio e di più i desiderata della finanza internazionale. Nei secoli passati l’Italia era terreno di scorribande e di conquiste di potentati stranieri e le signorie locali si destreggiavano per apparire come utili servitori di questo e di quell’occupante. Non sembra che le cose siano di molto cambiate in questo Paese. Né questa è l’Europa che immaginavano De Gasperi e Adenaur o De Gaulle.
Alla politica italiana è rimasta un’ultima speranza: Mario Draghi, il direttore generale del Tesoro che nei primi anni ’90 liquidò l’I.R.I., sconvolse la Lagge bancaria e privatizzò i servizi. L’uomo giusto per completare l’opera.
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