lunedì 27 maggio 2013

Costituzione della Repubblica:«Enti e privati hanno il diritto di istituire ospedali e ambulatori, senza oneri per lo Stato».



Costituzione della Repubblica:«Enti e privati hanno il diritto di istituire ospedali e ambulatori, senza oneri per lo Stato».
L’articolo sopra indicato è un falso, ma pone la questione del finanziamento pubblico alle scuole nella sua vera luce, quella di una posizione che risente del tempo che passa. Una posizione, per chi si oppone al finanziamento, che non tiene conto della tanta acqua che è passata sotto i ponti dal ’48 ad oggi, quando il confine tra pubblico e privato è stato, più e più volte, spostato in un senso e nell’altro.
Se non ci fosse una partecipazione pubblica alla sanità “privata” il sistema sanitario italiano, nel suo complesso, crollerebbe. Un bene o un male?Nel frattempo di sicuro crollerebbe. Così come crollerebbe il sistema della scuola, soprattutto materna e primaria, soprattutto nel centro nord, che più tiene conto di problemi familiari, di orari, di necessità didattiche degli studenti.
I più raffinati interpreti della norma ragionano sul verbo "istituire"che, dicono,significa fondare, iniziare un’attività, ed “in questo senso è logico che allo Stato non possano essere chiesti contributi prima che si sappia e si possa controllare se la futura istituzione avrà titoli per chiedere la "parità". Ma non significa "gestire", che è cosa ben diversa. La gestione di un’istituzione scolastica non è solo un fatto "privato", ma se obbedisce alle regole costituzionalmente sancite per ottenere la "parità" entra a far parte di un sistema educativo "pubblico", nel senso che soddisfa un’esigenza di carattere generale, e lo fa prendendosi a carico spese che lo Stato dovrebbe comunque sostenere”.
Emerge comunque ancora una volta la totale distrazione dei più accaniti avversari di qualunque forma di finanziamento alle scuole private, i quali non tengono conto, invece, delle cospicue risorse che lo Stato assegna alle tante Università (private) ove i costi d’iscrizione per gli studenti raggiungono ragguardevoli livelli.
Risulta che la Bocconi, come la Cattolica di Milano e poche altre università, si portarono a casa un finanziamento pubblico nel 1991 di 87 miliardi di vecchie lire e che nel 2010 ammontava a 89,1 milioni di euro. Ad assegnare quei fondi pubblici fu la legge 29 luglio 1991, n. 243 sull’ordinamento e finanziamento delle Università statali legalmente riconosciute.
Di tutto questo, per la Bocconi ed altre università, non si parla. Siamo qui nel Regno dei poteri forti, evidentemente, e dunque acqua in bocca: meglio prendersela con i piccoli (delle materne), piuttosto che con i grandi. Gli eroi delle proteste ideologiche non rischiano più di tanto.
Come per la sanità “privata” così come per l’università”privata” non azzardano proteste. Si sa, l’età avanza e i figli crescono, non si sa mai!
P.s.: chi scrive ha frequentato, dall’asilo all’università, solo scuole pubbliche.

martedì 21 maggio 2013

Il sen. Zanda e la legge Rocco



Il senatore Zanda legge troppo in ciò che espressamente prevede l’art. 49 della Costituzione, ovvero:”Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Qui diversamente da tanti altri articoli della Costituzione non si intravede una riserva di legge, né un indirizzo per il legislatore ordinario in materia di organizzazione dei partiti politici. D’altronde se a settant’anni quasi dalla promulgazione della Carta i tentativi sul punto non hanno sortito effetto ci sarà una ragione. La questione è che quella norma prevede il criterio democratico come metodo di affermazione delle posizioni ideali, politiche, espresse dai singoli movimenti politici. Non altro. La voglia di mettere in riga chi dà fastidio è naturale che prenda chi pro tempore esercita potere, ma passare dai desideri ai fatti (ai disegni di legge) non è da tutti, infatti a nessuno era venuto in mente di farlo nei decenni della Repubblica. A Zanda si!.....sarà che è figlio di un ex Capo della Polizia?!, mà! evidentemente la voglia d’ordine gli è rimasta appiccicata addosso.
A proposito di ordine conviene dare un’occhiata alla legge del 3 aprile 1926, n. 563(legge Rocco).
La lettura integrale della citata legge è interessante e mette in luce una cultura tutta tesa a ordinare il conflitto sociale, volontà prima del Corporativismo in auge all’epoca. Colpisce dalla lettura della legge la voglia di “amministrativizzare” i movimenti sindacali, che al di là di quello che in situazioni “normali” possono esprimere in termini di collaborazione per la soluzione del conflitto sociale, sono di per sé plurali e conflittuali.
Non può essere diverso ovviamente per i movimenti politici, terreno sul quale si muove Zanda.
Ecco alcune righe della legge Sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, ove al Capo I (Del riconoscimento giuridico dei sindacati) si dispone (art.1) la procedura di riconoscimento delle associazioni sindacali, prevedendo come condizione l’esistenza di alcuni requisiti, tra l’altro: “ Che, oltre gli scopi di tutela degli interessi economici e morali dei loro soci, le asso­ciazioni si propongano di perseguire e perseguano effettivamente scopi di assistenza, di istruzio­ne e di educazione morale e na­zionale dei medesimi. Che i dirigenti dell’associazione diano garanzia di capacità, di moralità e di sicura fe­de nazionale.”
Il riconoscimento prevede l’intervento di ministri competenti, del Consiglio di Stato e culmina con un decreto reale.
Interessante risulta leggere che “Gli statuti debbono contenere la determinazione precisa degli scopi delle associazioni, del modo di nomina degli organi sociali e le condizioni per l’ammissione dei soci, fra le quali la buona condotta politica, dal punto di vista nazionale.”Soprattutto: “art. 5. Le associazioni legalmente riconosciute hanno personalità giuridica e rappresen­tano legalmente tutti i datori di lavoro, lavoratori, artisti e professionisti della categoria, per cui sono costituite, vi siano o non vi siano iscritti, nell’ambito della circoscrizione territoriale, dove operano.”
La legge si preoccupa di determinare un rigido schema di organizzazione: “Art. 7. Ogni associazione deve avere un presidente o segretario che la dirige, la rappre­senta ed è responsabile del suo andamento. Il presidente o segretario è nominato od eletto con le norme stabilite dallo statuto… Lo statuto deve stabilire l’organo a cui spetta il potere disciplinare sui soci e la facoltà di espellere gli indegni per condotta morale e politica.”
Seguono i controlli: “Art. 8. I presidenti o segretari sono coadiuvati da Consigli direttivi eletti dagli iscritti all’associazione, con le norme stabilite dallo statuto. Le associazioni comunali, circondariali e provinciali sono soggette alla vigilanza del pre­fetto e alla tutela della Giunta provinciale amministrativa, che la esercitano nei modi e secondo le norme da stabilirsi per regolamento. Le associazioni regionali, interregionali e nazionali sono soggette alla vigilanza e alla tutela del Ministro competente.”
Per finire, in assenza dei requisiti: “Art. 9.quando vengano meno le condizioni richieste dai precedenti articoli per il riconoscimento, con decreto Reale, su proposta del Ministro competente, di concerto col Ministro dell’interno, sentito il parere del Consiglio di Stato, il riconoscimento può essere revocato.”
E per chi non si adeguava?:“Art. 12. Le associazioni di datori di lavoro, di lavoratori, di artisti e professionisti non ri­conosciute, continuano a sussistere come associazioni di fatto.”
Insomma, per il Beppe Grillo, allora come ora c’è sempre la soluzione finale: attaccarsi al tram, arrangiarsi.

domenica 5 maggio 2013

L'eco della Storia



Francesco Moranino (19201971) partigiano e politico italiano, organizzatore e comandante delle formazioni garibaldine comuniste nel Biellese durante la Resistenza. Fu protagonista, nell'estate del 1944, di quella che è conosciuta come strage della missione Strassera.
Emanuele Strassera, agente dell'OSS, era stato inviato in Liguria dagli angloamericani con il compito di coordinare la lotta partigiana. Contattò Francesco Moranino ed arruolò partigiani. Cinque partigiani della "missione Strassera", sospettati di essere in realtà spie nazifasciste, furono fucilati il 26 novembre 1944 in località Portula, attirati in un'imboscata, e due delle loro compagne uccise.
Nel dopoguerra i familiari dei cinque partigiani fucilati e delle due donne uccise svolsero delle indagini e raccolsero delle prove che presentarono alle autorità. Furono fatte delle indagini ufficiali che orientarono le responsabilità sul deputato comunista: Moranino fu pertanto accusato dell'eccidio della "Missione Strassera" e delle due donne. Nel 1953, sotto il governo Pella, Moranino fu incriminato per fatti avvenuti durante la Resistenza, ritenuti non compresi tra i reati amnistiati dal ministro Togliatti nel 1946.
Il 27 gennaio 1955, durante il governo Scelba, la Camera dei deputati, con una maggioranza di centrodestra, votò l'autorizzazione a procedere nei confronti di Moranino su richiesta della Procura di Torino. Quella di Moranino fu la prima autorizzazione all'arresto di un parlamentare concessa dalla nascita della Repubblica e fino al luglio 1976 rimase anche l'unica. Moranino riparò all’estero.
Il 22 aprile 1956, il processo, svoltosi in contumacia a Firenze, si concluse con la definitiva condanna all'ergastolo per sette omicidi.
Si legge nella sentenza: «Perfino la scelta degli esecutori dell'eccidio venne fatta tra i più delinquenti e sanguinari della formazione. Avvenuta la fucilazione, essi si buttarono sulle vittime depredandole di quanto avevano indosso. Nel percorso di ritorno si fermarono a banchettare in un'osteria e per l'impresa compiuta ricevettero in premio del denaro.». La sentenza di condanna all'ergastolo fu confermata dalla Corte d'Assise d'Appello nel 1957. Moranino si sottrasse alla cattura espatriando clandestinamente in Cecoslovacchia dove divenne direttore dell'emittente radiofonica in lingua italiana Radio Praga e strinse contatti con gruppi estremistici italiani.
Nel 1958, il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, decretò la commutazione della pena in dieci anni di reclusione. Moranino, da Praga, si rifiutò di tornare, finché il 27 aprile 1965 venne poi definitivamente graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Rientrò in Italia solo in seguito ad amnistia nel 1968
Fin qui le vicende di Moranino che lo coinvolsero in fatti di sangue nella tormenta della guerra e della resistenza. La storia narra di ministri che varano nell’immediatezza dei fatti(1946) amnistie (Togliatti), autorizzazioni a procedere dei parlamentari (procedura ora inesistente) Presidenti della Repubblica che concedono grazie e commutano pene (Gronchi, Saragat), il tutto in anni difficili, quando i sentimenti e risentimenti per le tragedie della guerra erano ancora vivi e tanta gente faticava a sopravvivere. Sa di politica forte, capace di decidere, autonoma nel valutare fatti e di saper condannare, ma anche capace di voltare pagina, non prona ad altri poteri e non succube di opinioni pubbliche.
Basterebbe a volte rileggere la storia per comprendere quanto sono risibili le “muinelle” che riempiono giornali, televisioni e web, oggi quando si è di fronte alla normalità italiota fatta di furbi, vendicatori della poltrona, fustigatori della sera.
Il cavaliere del Bunga Bunga non meritava tanto clamore e tanta attenzione, conflitti o non conflitti d’interessi, bastava dichiarare una verità semplice e cioè che un signore che è titolare di un forte potere economico non può acquisire il potere politico. C’è chi per pruderie moderniste non ha voluto dirlo e dunque ancora è lì a marcarlo, aspettando che qualche Corte lo tolga di torno.
Fine della storia? Con Giorgio Napolitano presente in Parlamento dal 1953 non è detta.
Ai cultori della materia resteranno gli strali di Travaglio.