domenica 20 gennaio 2013

Al voto, sognando la Rivoluzione



Quando all’inizio di agosto del 2011 il duo Draghi Trichet spedì la lettera con la quale impegnava il Governo ed il Parlamento italiani ad adottare significative riforme non c’era in essa solo la richiesta di allungamento dell’età pensionabile o le modifiche in tema di licenziabilità nel rapporto di lavoro privato. C’erano altre cose, in particolare: “il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover  e, se necessario, riducendo gli stipendi. C'è l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.”. Sappiamo come è andata a finire, si sono aumentate le tasse e  le tariffe con ulteriore appesantimento della situazione economica di molte famiglie e di imprese, lasciando correre invece rispetto alla riduzione dei costi del sistema pubblico.
Il taglietto dei megastipendi per una percentuale del 5%, pur stabilito dal Governo, è stato abolito dalla Corte costituzionale (“Diritti acquisiti”) dopo una rivolta ed una strenua difesa delle caste burocratiche. Altrettanto inutile è stato il tentativo della Commissione Giovannini di parametrare gli stipendi pubblici italiani sulle medie dei Paesi europei: il presidente della Commissione denunciò la non collaborazione degli uffici. L’abolizione delle province è finita in cavalleria, ovvero affossata dal Parlamento, proprio nel giorno nel quale il Governo Monti si dimetteva. L’ulteriore tentativo del Governo di stabilire il limite agli stipendi degli alti dirigenti pubblici su quello che percepisce il Presidente della Cassazione non si sa che risultato abbia prodotto (l’informazione non ne dà notizia, ai ricchi giornalisti non interessa). Questo è lo stato delle cose e questa è la natura della classe dirigente di questo Paese. Sinteticamente lo dice con efficacia Bini Smaghi (già nel direttivo della Bce) quando afferma che dopo le tasse bisognava procedere alla fase della riduzione dei costi pubblici. Cosa è successo?: “ giunti alla seconda fase, le pressioni dei mercati erano già svanite e la conseguente "urgenza" evaporata." . Le caste hanno tirato un sospiro di sollievo.
Gli italiani che comandano non si smentiscono mai, sempre pronti a scappare con la valigia nei momenti di difficoltà: tasse per tutti, tagli per loro niente. E’ la solita casta di un 8 settembre perenne.
Eppure misure di riduzione di alti stipendi (e non solo) sono state assunte da molti paesi europei in questa fase di crisi: Irlanda, taglio del 13% degli stipendi pubblici; Spagna, taglio del 5%,Grecia 20%, Polonia 10%, Germania 2,5%. In Irlanda in particolare, la riduzione degli stipendi pubblici fornisce risorse alla crescita con la tassazione delle imprese al 12,5%. Chissà cosa ci vorrà in Italia per avviare la crescita…magari altre tasse.
Il tema della riduzione dei costi pubblici dovrebbe essere il tema fondamentale di questa campagna elettorale, dove le diverse parti dovrebbero competere per definire su chi, come e quanto debbano incidere i tagli. Si sente invece ancora parlare di tasse senza tenere conto delle quotidiane chiusure delle imprese e della fuga all’estero di quelli che, persone o imprese, se lo possono permettere.
All’inizio del Governo Monti, in una situazione di grave difficoltà finanziaria, i mandarini di Stato prendevano 30 mila euro di pensione al mese o 620 mila all’anno di stipendio. Dopo un anno di sacrifici per molti e di suicidi per tanti,  per i nostri mandarini nulla è cambiato: quello che incassavano allora altrettanto incassano adesso.  Questa è la realtà di cui non si parla nei dibattiti politici.
Un Presidente di regione in questi giorni invocava la guerra contro i super ricchi. Si tranquillizzi, i super ricchi oggi li trova nelle stanze del palazzo della regione, lì ci sono stipendi da favola. Peccato che non se ne sia ancora accorto. Del resto (a parte Briatore) se il Pil nazionale dipende per il 52% dalla spesa pubblica, dove altro si possono situare le megaricchezze? In un Paese dove la casta grassa fa di tutto perché le imprese se ne vadano all’estero c’è chi aizza alla lotta contro i padroni delle ferriere quando le ferriere sono chiuse. Per distrarre l'attenzione dagli arricchimenti pubblici si imbracciano bandiere sbiadite e senza più significato.     
Al voto, al voto, sognando la Rivoluzione.

sabato 12 gennaio 2013

La legge dei corsari



Mentre si avvia la campagna elettorale, con molte censure sulle vere questioni da affrontare (la spesa pubblica: anche di questa parlava la lettera di Trichet e Draghi) e su promesse ridicole (la riduzione delle tasse) conviene guardare altrove per capire le novità che prima o poi ci riguarderanno.
Il capitalismo finanziario senza freni e senza limiti impone le sue leggi e determina come esse vanno interpretate, senza alcun altra preoccupazione che non sia il guadagno più alto in termini di rendita speculativa.
L’Argentina che ha assunto decisioni contro corrente quando la crisi del suo debito pubblico si è manifestata, imponendo- offrendo ai suoi creditori una ristrutturazione del debito in percentuale al 30% del valore dei titoli pubblici ed ottenendo l’assenso di oltre il 90% dei suoi creditori, vede compromessa la sua situazione finanziaria, perché uno speculatore con base alle Cayman e un giudice a New York la pensano diversamente. Lo speculatore ha fatto incetta a suo tempo di enormi quantità di titoli argentini, quando avevano perso buona parte del loro valore per effetto della crisi ed oggi il giudice americano gli attribuisce il diritto di ottenere l’intero valore facciale dei titoli. Di più, il giudice ritiene che tale trattamento debba valere anche per tutti gli altri creditori che si erano accordati per un rimborso a valore notevolmente inferiore.
Negli stessi giorni il colosso statunitense delle assicurazioni AIG, che aveva fatto speculazioni con assicurazioni sui derivati e che era arrivato al fallimento al momento della crisi del 2008, rivuole i soldi che lo Stato ha racimolato dopo aver sostenuto le conseguenze del suo tracollo finanziario. E pensare che il Governo americano aveva sborsato notevoli cifre per accollarsi le conseguenze del fallimento dell’assicurazione, ovviamente impegnando soldi pubblici con accrescimento del debito pubblico USA.
Come si vede il famoso “mercato” continua, nonostante l’evidente manifestarsi dei disastri che provoca, a incamerare guadagni e a scaricare le perdite sugli Stati e dunque sui cittadini: privatizzazione dei guadagni e pubblicizzazione delle perdite. Tutto ciò mente la povertà impazza e molti si impiccano.
Occorre considerare ancora che queste scelleratezze vengono tollerate senza adeguate contromisure da parte degli Stati, infatti nulla esclude, anzi, che fondi speculativi facciano la stessa cosa con i titoli greci ristrutturati, cosi come già avvenuto con quelli argentini dinanzi al giudice di New York. Nel frattempo gli Stati creano i fondi salva Stati e i cittadini pagano con maggiori tasse e tagli.
Troppo facile speculare, inutile governare. E’ il ritorno della pirateria e dei corsari (i pirati con licenza di qualche Stato, anche loro avevano qualche legge da invocare e qualche giudice a cui rivolgersi).
Se non si ha la capacità di disconoscere il debito pubblico che produce elevati interessi (di cui godono, altro che vecchiette, i grandi speculatori) almeno limitassero, gli Stati, le operazioni speculative più dannose.
Dopo la crisi del 1929 gli stati imposero alle banche di fare solo le banche e di non partecipare ad operazioni speculative a lungo termine.  Oggi nemmeno questo avviene.
Misteri e dogma della nuova religione del danaro, mentre nelle chiese elettorali tutti i sacerdoti promettono di essere i più fedeli osservanti.