martedì 17 aprile 2012

Le Indie di quaggiù


E daglie con i paragoni improponibili.
Prima Berlusconi, oggi Beppe Grillo. L’antipolitica come criterio unico capace di accomunare cose completamente diverse e persone e personaggi vissuti in epoche distanti nel tempo e nelle idee (fa eccezione il Berlusca in quanto a idee).
Per rovesciare il discorso, visto che le origini del fascismo, le vicende del suo fondatore e le scelte compiute (anche in periodi di profonda crisi economica, come oggi) sono cose troppo complesse per il parlottio sul Web, conviene parlare magari di quelli che appena sentono qualche contestazione si rivoltano e si pongono a difesa della Casta o meglio delle Caste (ce ne sono tante in Italia, di tutti i tipi e sono la vera maggioranza, trasversale).
Nel sedicesimo secolo, nel Sudamerica esposto alla penetrazione dei colonizzatori europei si parlava nelle relazioni ufficiali delle “Indie di quaggiù”. L’espressione conteneva un significato negativo rispetto alle popolazioni indigene, ritenute primitive e incivili dai conquistatori.
La stessa espressione, curiosamente, è stata usata in documentari televisivi (Rai) e cinematografici, a partire dagli anni ‘70(1900) quando prevalevano un certo, inadeguato, sociologismo e psicologismo che tentavano di spiegare le arretratezze del meridione d’Italia rispetto al nord industriale e al centro operoso ed acculturato. Si faceva danno a tutto quanto lo studioso Ernesto De Martino aveva approfondito e documentato nei decenni precedenti con pregevoli resoconti e viaggi.
Ancora oggi si avverte, non tanto nella classe dirigente politica, ma in molti commentatori ed anche militanti politici, un qualche fastidio verso tutto quello che suona come non allineato, sconnesso, differente, rispetto alle posizioni di maggioranza politica o intellettuale nel momento presente.
Un antropologo (come De Martino) spiegherebbe questo atteggiamento come la rivolta del ceto medio acculturato, inserito, benestante, contro il terrone che è in sé.
Il cerchio delle precedenti considerazioni, si chiude, in breve, con l’osservare il fastidio che tanta opinione pubblica, più o meno militante, esprime nei confronti di chiunque non appaia sufficientemente allineato alla vulgata maggioritaria circa le ragioni, le cause, le responsabilità, della crisi economica, politica, morale del Paese.
Bisognerebbe assumere un vero atteggiamento laico in proposito, che è proprio di chi si confronta con le idee, i contenuti, la sostanza del discorso, piuttosto che andare a guardare origini, aspetto, toni di chi si contrappone (se magari ha violato l’autovelox!).
In ogni caso sarebbe deleterio assumere ora l’atteggiamento nei confronti dei non allineati come abitanti delle “Indie di quaggiù”, visto che molte certezze stanno svanendo e molte cariatidi appaiono solo per i privilegi di cui godono e mai per capacità di comando e di sacrificio. Ma si sa l’assetto esistente garantisce, tranquillizza, ed il problema sono gli altri, che urlano, imprecano.
Il terrone che è in noi può essere una risorsa o un ostacolo alla comprensione delle cose, quello che non va è il sentimento di tanti che si allarmano se qualcuno si lamenta o denuncia sofferenza. Invece di confrontarsi con la realtà delle proteste la condannano e inveiscono contro l’antipolitica, il diciannovismo(!) ed altre ricette ormai antiquate. Come se la politica fosse un pranzo di gala per gli ottimati e non rappresentanza d’interessi. I quali interessi, come si sa, sono diversi e a volte in conflitto.
Da sponde opposte si dichiara la fine della politica, dei partiti e della loro capacità di decisione, come osserva Curzio Maltese:”Bruxelles è servita a formare una classe dirigente che la politica non è più in grado di produrre ed è ora pronta a prendere il potere in tutti i governi nazionali europei” ed ancora Roberto Maroni:”Gli Stati-nazione non contano più nulla. Non governano né i confini, né la moneta, né la politica estera; ora, con il fiscal compact, non governeranno neppure più le finanze.”. A fronte di tali considerazioni gli strali contro l’antipolitica appaiono come ultima risorsa per difendere privilegi di casta.
Se ne facciano una ragione gli ottimati, gli indiani di quaggiù questo vedono e questo pensano, non è colpa loro.

sabato 14 aprile 2012

"Il Capo ha sempre ragione"


Ci siamo. La Casta trema perché vede le risorse finire e senza preoccuparsi dei sucidi e dei fallimenti che stanno lì a dimostrare la drammaticità della situazione, esplode in invettive, minacce e aizza alla persecuzione.
La cosa risulta ancor più evidente quando l’invocazione all’odio senza ragione e senza distingui viene dal Colle più alto. E’ sempre Lui, che si tratti di sterminare i popoli slavi (la Russia) perché non sono abbastanza civili (1942) o gli ungheresi perché sono elementi della reazione (1956) o quelli che non manifestano abbastanza entusiasmo per i disegni globalisti e soprattutto non mettono mano al portafogli, il Capo denuncia, invoca, minaccia. Senza guardarsi intorno, senza tenere conto di un apparato pubblico che vive nell’opulenza e non si sottrae alle corruzioni sempre più diffuse (evasori anch’essi).
Nei momenti di maggiore crisi, le caste e i potenti non sono distinguibili dai contrabbandieri, dai borsaioli e dai malviventi. La legge della giungla suggerisce di arraffare quanto di più è possibile, perché del domani non c’è certezza. In questi frangenti sono favoriti, perché nel dna vi sono caratteri propri della capacità di prevaricazione.
E’ l’eterno ritorno della fuga dalle responsabilità che caratterizza la classe dirigente di questo Paese, che nei momenti cruciali da calci agli altri per salire sull’ultima nave o aereo disponibili.
Il Capo potrebbe almeno associare gli evasori (quelli significativi li conosce, magari li decora con cavalierati e medaglie) agli spoliatori di Stato. Neanche per sogno, chi ha una logica imperiale non si priva del fasto di principi e duchi che circondano la Reggia, il problema è tutto dei poveracci che non contribuiscono abbastanza con le loro risorse, anche se faticano a campare. Dalle logiche imperiali alle reminiscenze politiche, il Capo sa che i dirigenti dello Stato e del partito devono vivere bene: hanno diritto alle auto blu e ad autisti gallonati, alla dacia gratis e ai negozi riservati, alle svendite di immobili statali a prezzo di favore e ai posti riservati per figli e amici. Se qualcuno ostacola questa favola terrena evidentemente è un nemico del Popolo. Và fucilato!
Parlare di spending review? finanziamento ai partiti? Tutto inutile. Con questi capi e sottocapi, che grattano che nemmeno nella Napoli di Malaparte si può leggere, che fai? Non è nemmeno possibile difendersi contro la prevaricazione e le ruberie, si sono blindati: costa talmente tanto ricorrere ai giudici che lo sperpero e la corruzione non trovano ostacoli. L’hanno fatto di proposito.
Confortano i commenti di gente comune che giorno dopo giorno si rende conto della serietà della situazione e della inadeguatezza dei capi e sanno anche che i commentatori ufficiali stanno dalla parte dei potenti e che con quello che grattano, riverenti e ossequianti, è inevitabile il loro grido di approvazione: "il Capo ha sempre ragione!".
Sono i moderni arlecchini, beati chi li legge.
P.s. per il Capo : "Vi è una situazione per cui il contadino ha paura di farsi un tetto di lamiera perché teme di essere dichiarato kulak, se acquista una macchina cerca di fare in modo che i comunisti non se ne accorgano. Le tecnica avanzata è divenuta clandestina […] oggi questi metodi ostacolano lo sviluppo economico. Oggi dobbiamo eliminare una serie di restrizioni per il contadino agiato da un lato e per i braccianti che vendono la propria forza lavoro dall’altro. La lotta contro i kulaki deve essere condotta con altri metodi, per altra via […] A tutti i contadini complessivamente, a tutti gli strati di contadini bisogna dire: arricchitevi, accumulate, sviluppate le vostre aziende. Soltanto degli idioti possono dire che da noi deve sempre esserci povertà. " (Nicolaj Bucharin, rivoluzionario e dirigente del PCUS purgato da Stalin nel 1938). Il Capo dovrebbe ricordare queste cose.

sabato 7 aprile 2012

Totò truffa, sempre più attuale.


Non è l’inchiesta su Bossi e la Lega la notizia della settimana, è un’altra ma è stata relegata nelle pagine interne dai giornali che contano.
Premessa. Bossi e la Lega erano e sono elementi estranei al genio italico. Incapaci come sono apparsi di portare effettive novità nel sistema Paese si sono limitati al folklore celtico e a decisioni che hanno prodotto, contrariamente alle premesse, maggiori disastri finanziari. Basta pensare al federalismo tanto declamato e tanto imitato dal coro di altri movimenti politici. Il federalismo: in un paese che avrebbe bisogno ancora del sistema napoleonico di controllo accentrato!
Né Bossi, né Berlusconi hanno saputo portare a conclusione riforme vere del sistema così come dichiaravano di voler fare all’inizio dell’attività politica. Questa è la ragione del loro fallimento politico.
Per chi era legato ai valori e ai principi della Costituzione del ’47 suonavano male quelle dichiarazioni di 15-venti anni fa. Tuttavia, nonostante i tanti anni passati al governo, non sono stati capaci di liberalizzare il sistema secondo il modello americano, così come sbrigativamente si traduceva il loro intento.
Il paradosso è che quegli intenti si stanno realizzando oggi con altri governanti e con altre maggioranze, mentre loro (Bossi, Berlusconi) sono nell’angolo. Il decantato Mario Draghi ha affermato: «Il modello sociale europeo è già superato».Tutti d'accordo!
Mentre l’informazione ci sollazza con i particolari della famiglia Bossi, è passata in silenzio la vera notizia della settimana. La Commissione Giovannini, che doveva parametrare i compensi della dirigenza pubblica italiana a quella di paese europei, ha gettato la spugna, perché “i vincoli della legge, l' eterogeneità delle situazioni e le difficoltà della raccolta dati non hanno consentito di produrre i risultati attesi”. C’è spazio per immaginare situazioni alla “Totò truffa ‘62”, aggiornato alle burocrazie attuali. Addirittura nascondono le carte per sabotare l’intento del governo di stabilire limiti ai megastipendi. E questi dovrebbero governare un popolo?
Insomma, come sempre, il notabilato la sfanga. Ancora una volta ce l’ha fatta a sottrarsi ai tagli e al rigore del momento.
Con le tasse e la crisi che attanagliano milioni di persone le nostre autorità morali possono dare ordini, disporre, imporre, giudicare.
Ecco il Befera (presidente di Equitalia) più pimpante di sempre, in materia di accertamenti: «Contiamo di fare ancor meglio nel 2012: 12,7 miliardi di euro incassati l’anno scorso, con un aumento del 15,5% rispetto all’anno prima.”.
Tra un suicidio e l’altro la Casta si difende bene. Che il governo sia rosso o verde o bianco per i notabili non ci sono problemi, mentre il popolo si distrae con le vicende bossiane loro sorvegliano la cassa.
In questo sono imbattibili!