
E daglie con i paragoni improponibili.
Prima Berlusconi, oggi Beppe Grillo. L’antipolitica come criterio unico capace di accomunare cose completamente diverse e persone e personaggi vissuti in epoche distanti nel tempo e nelle idee (fa eccezione il Berlusca in quanto a idee).
Per rovesciare il discorso, visto che le origini del fascismo, le vicende del suo fondatore e le scelte compiute (anche in periodi di profonda crisi economica, come oggi) sono cose troppo complesse per il parlottio sul Web, conviene parlare magari di quelli che appena sentono qualche contestazione si rivoltano e si pongono a difesa della Casta o meglio delle Caste (ce ne sono tante in Italia, di tutti i tipi e sono la vera maggioranza, trasversale).
Nel sedicesimo secolo, nel Sudamerica esposto alla penetrazione dei colonizzatori europei si parlava nelle relazioni ufficiali delle “Indie di quaggiù”. L’espressione conteneva un significato negativo rispetto alle popolazioni indigene, ritenute primitive e incivili dai conquistatori.
La stessa espressione, curiosamente, è stata usata in documentari televisivi (Rai) e cinematografici, a partire dagli anni ‘70(1900) quando prevalevano un certo, inadeguato, sociologismo e psicologismo che tentavano di spiegare le arretratezze del meridione d’Italia rispetto al nord industriale e al centro operoso ed acculturato. Si faceva danno a tutto quanto lo studioso Ernesto De Martino aveva approfondito e documentato nei decenni precedenti con pregevoli resoconti e viaggi.
Ancora oggi si avverte, non tanto nella classe dirigente politica, ma in molti commentatori ed anche militanti politici, un qualche fastidio verso tutto quello che suona come non allineato, sconnesso, differente, rispetto alle posizioni di maggioranza politica o intellettuale nel momento presente.
Un antropologo (come De Martino) spiegherebbe questo atteggiamento come la rivolta del ceto medio acculturato, inserito, benestante, contro il terrone che è in sé.
Il cerchio delle precedenti considerazioni, si chiude, in breve, con l’osservare il fastidio che tanta opinione pubblica, più o meno militante, esprime nei confronti di chiunque non appaia sufficientemente allineato alla vulgata maggioritaria circa le ragioni, le cause, le responsabilità, della crisi economica, politica, morale del Paese.
Bisognerebbe assumere un vero atteggiamento laico in proposito, che è proprio di chi si confronta con le idee, i contenuti, la sostanza del discorso, piuttosto che andare a guardare origini, aspetto, toni di chi si contrappone (se magari ha violato l’autovelox!).
In ogni caso sarebbe deleterio assumere ora l’atteggiamento nei confronti dei non allineati come abitanti delle “Indie di quaggiù”, visto che molte certezze stanno svanendo e molte cariatidi appaiono solo per i privilegi di cui godono e mai per capacità di comando e di sacrificio. Ma si sa l’assetto esistente garantisce, tranquillizza, ed il problema sono gli altri, che urlano, imprecano.
Il terrone che è in noi può essere una risorsa o un ostacolo alla comprensione delle cose, quello che non va è il sentimento di tanti che si allarmano se qualcuno si lamenta o denuncia sofferenza. Invece di confrontarsi con la realtà delle proteste la condannano e inveiscono contro l’antipolitica, il diciannovismo(!) ed altre ricette ormai antiquate. Come se la politica fosse un pranzo di gala per gli ottimati e non rappresentanza d’interessi. I quali interessi, come si sa, sono diversi e a volte in conflitto.
Da sponde opposte si dichiara la fine della politica, dei partiti e della loro capacità di decisione, come osserva Curzio Maltese:”Bruxelles è servita a formare una classe dirigente che la politica non è più in grado di produrre ed è ora pronta a prendere il potere in tutti i governi nazionali europei” ed ancora Roberto Maroni:”Gli Stati-nazione non contano più nulla. Non governano né i confini, né la moneta, né la politica estera; ora, con il fiscal compact, non governeranno neppure più le finanze.”. A fronte di tali considerazioni gli strali contro l’antipolitica appaiono come ultima risorsa per difendere privilegi di casta.
Se ne facciano una ragione gli ottimati, gli indiani di quaggiù questo vedono e questo pensano, non è colpa loro.

