sabato 28 gennaio 2012

Che altro aggiungere?

(ASCA) - Roma, 26 gen - L'Italia ''vive un generale senso di depressione che attraversa tutte le classi sociali: i poveri perche' vedono allontanarsi la possibilita' di migliorare la loro situazione economica; i ceti medi perche' hanno paura di una progressiva proletarizzazione; i ricchi perche' si sentono criminalizzati e hanno persino timore di mostrare il proprio status''. Responsabile di questo stato e' la classe dirigente e per uscirne ognuno deve riscoprire doveri e responsabilita' superando l'egoismo e la difesa corporativa degli interessi. E' l'analisi del presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara, che apre il Rapporto Italia 2012. ''La responsabilita' dell'attuale situazione che viene attribuita impropriamente e per intero alla classe politica appartiene invece - spiega Fara - a quella che si definisce 'la classe dirigente generale' della quale fanno parte tutti coloro che esercitano ruoli e funzioni direttivi all'interno della societa': imprenditori, elite culturali; manager pubblici e privati; sindacalisti; i grandi commis dello Stato; magistrati; professori; uomini dell'informazione e della ricerca. Una 'classe dirigente generale' che dovrebbe produrre buoni esempi e farsi carico delle esigenze e dei bisogni della collettivita'''. Questa ''classe dirigente generale'' costituisce ''un blocco solidale e separato dal resto del Paese, articolato sul modello feudale, che non ha nessuna intenzione di rinunciare, neppure in piccola parte, ai privilegi conquistati. Ma anche la societa' italiana ha molto da farsi perdonare. Infatti mentre la 'classe dirigente generale' con il suo spirito di conservazione e la sua autoreferenzialita' tiene in ostaggio la societa', questa si e' adeguata diventandone complice in cambio della tolleranza e della comprensione dei propri istinti egoistici e familisti che deresponsabilizzano e assicurano nicchie di impunita' e di esercizio di piccolo potere''. Insomma, conclude Fara, ''la societa' e' vittima e complice, nello stesso tempo, della sua classe dirigente generale'' e per uscire dalla crisi occorre ''una generale presa di coscienza e la rottura di quel patto di complicita' che blocca la societa' italiana. Ma, soprattutto, la riscoperta dei doveri e delle responsabilita' di ciascuno superando l'egoismo e la difesa corporativa degli interessi''.
Che altro aggiungere?

venerdì 20 gennaio 2012

La santa alleanza



Si governa contro il popolo, in nome di che cosa: della democrazia? dell’economia? di organismi sovranazionali?
Se i trattati internazionali e comunitari vengono ratificati da parlamenti sulla soglia delle vacanze agostane, nel disinteresse della cittadinanza e col silenzio dei mezzi d’informazione (è avvenuto in Italia con l’ultimo Trattato di Lisbona) oppure i trattati, bocciati con referendum (è avvenuto in Francia ed Irlanda) vengono replicati dopo pochi mesi, come una medicina che la gente ignorante deve per forza ingurgitare (per il suo bene, naturalmente). Se governi e parlamenti di paesi europei (non l’Italia) cercano di conservare qualche prerogativa nazionale e vengono trattati come paria e sottoposti a restrizioni. Se le feroci politiche fiscali nulla incidono sulla capacità di produzione, ma si risolvono in prosciugamento di risorse, con ulteriore inasprimento della pressione fiscale e se con il pretesto delle “liberalizzazioni” si vogliono solo aprire spazi alle grandi imprese finanziarie a danno di individui, buttando al macero normative che prima di tutto tendevano a tutelare interessi pubblici (l’igiene, l’affidamento, la sicurezza,…). Se tutto questo avviene col diabolico intendimento (è stato espressamente dichiarato) di approfittare della profonda crisi economica per cambiare economia e società, perché non aspettarsi qualche protesta, nel mentre le forze politiche, soprattutto da noi, fanno silenzio di fronte ai comandi che provengono da organismi che nessuno ha mai eletto?
Ci sono proteste significative dovunque: in Spagna, in Grecia, in Romania, in Irlanda, negli Usa. E qui da noi le proteste vengono descritte come le solite “insorgenze” che tanto danno fastidio alla classe “dirigente” di turno, ai suoi giannizzeri, ai suoi cortigiani.
Nei 150 anni dell’Unità d’Italia si ripropone un copione già noto che vede grandi disegni economici di rapina veicolati con la modernità, con la democrazia, con il progresso. E guai a chi si oppone.
E’ durata una settimana la graticola rappresentata dalla questione delle indennità parlamentari. E’ finito tutto nel dimenticatoio e messo da parte uno dei temi principali sui quali intervenire per raddrizzare una disastrata economia e cioè l’enorme spesa pubblica. Scampato pericolo: i mandarini tirano un sospiro di sollievo!
Così, ancora una volta, la santa alleanza tra il bidello precario e i mandarini delle varie caste ha vinto. Lo schema è perfetto, funziona bene, con il notevole supporto della stampa a servizio e dei tanti che, per poco o per molto, nella casta ci sono o ci vogliono entrare.
Se la protesta parte dalla Sicilia (ovvio) sono mafiosi, se parte dalla Sardegna puzzano di pecora (lo dice Paolo Villaggio). Segue il solito schemetto del pericolo fascista: anche a Zuccotti Park sono fascisti?
Aspettiamo Milano per rendere la cosa più fine e galante, magari qualche professore con occhialini e Hogan ai piedi, magari un girotondo, sperando che non segua un novello Bava Beccaris con i suoi cannoni.
Insomma, è evidente che viviamo in un tempo in cui chi governa pensa di farlo contro il popolo, perché ritiene di essere dalla parte del giusto, del vero, della modernità, mentre il popolo, ignorante, è un puledro da addomesticare a colpi di frustate. La sovranità non appartiene al popolo, ma è espressione della classe degli ottimati, delle elites.
Anche qui stormi di benpensanti, composti pantofolai, acconsentono, perché hanno capito che in fondo non sono (loro) veramente in pericolo e magari (ma si!) si augurano di andare più spesso in taxi (a basso costo). Fa veramente chic!
La chiamano Democrazia, ma ricorda sempre più le oligarchie brezneviane di fine regime, sostenute da schiere di cortigiani, per poco o per molto, sempre più ossequiosi verso il potere e infastiditi dal popolo che protesta.

sabato 14 gennaio 2012

La golden share elettorale



Non è la prima volta che vicende di significativa importanza sul piano politico, parlamentare, si manifestano nello stesso giorno e piuttosto che il caso si potrebbe richiamare il “volere degli dei” nel raffigurare giornate particolari come quella del 12 gennaio. Tant’è e bisogna pur ricavare qualche significato, meglio ancora, qualche segno dei tempi da tutto ciò.
Le ragioni per il giudizio di non ammissibilità pronunciato dalla Corte costituzionale sui referendum relativi alla legge elettorali possono essere tanti, basta considerare i diversi limiti in materia che la Corte ha espresso negli anni e nelle analoghe occasioni, per capire che non solo il problema della reviviscenza, ma anche quello della coerenza e della completezza delle norme superstiti, tra altri, possono essere stati occasione per bocciare i quesiti.
Piuttosto vale la pena di sottolineare alcune stridenti contraddizioni che emergono da tutta la vicenda sul piano politico, in connessione con l’altra questione affrontata invece alla Camera, ovvero il caso Cosentino.
E’ da anni ormai che parti politiche di questo Paese si battono per introdurre sistemi elettorali cosiddetti maggioritari. Premesso, che personalmente ritengo più coerenti e funzionali con l’ordinamento che scaturisce dalla Carta costituzionale sistemi prevalentemente proporzionali, emerge l’incoerenza sul piano politico delle opzioni maggioritarie. In altri paesi ove le elezioni determinano una scelta secca tra due parti politiche è prevista l’autonoma elezione o investitura del capo dell’esecutivo. Da noi chi invoca sempre più maggioritario disdegna queste soluzioni per il capo del governo. Ne deriva un sistema non coerente ove il leader della parte risultata vincente alle elezioni non acquista una sua autonoma forza politica da spendere nel rapporto con la maggioranza parlamentare. Le vicende dei governi Prodi dimostrano che il problema c’è e la soluzione, rabberciata, inserita nella legge “Porcellum” ad uso di Berlusconi ha mostrato la sua pericolosità nello scorso novembre (lo spread in rialzo ha risolto un grosso problema costituzionale a tutti!).
Il maggioritario, che già scontava all’origine l’accusa di riportare in auge il sistema del notabilato politico (com’era prima del 1919) risulta insufficiente in ordine alla richiesta di stabilità degli esecutivi, perché il leader non ha forza elettorale propria e se l’ha (con il “Porcellum”) non è sostituibile in via ordinaria (le dimissioni del cavaliere sono state un fatto penoso che si è trascinato per molti mesi).
Le lamentele sentite in occasione del voto contrario all’arresto del deputato Cosentino hanno anche fatto riferimento alle norme elettorali, non solo a questioni di scelte politiche di vertici di partito e nel giorno in cui la Corte costituzionale valutava appunto un referendum in materia, si è constatato che non ci sono sistemi elettorali che risolvano le contraddizioni presenti nel paese reale.
Piuttosto c’è da trarre un insegnamento ulteriore circa la fallace speranza che i “maggioritaristi” ad oltranza assegnano alle norme elettorali, anche in relazione alle esigenze di selezione delle rappresentanze politiche. In sistemi di rappresentanza prevalentemente proporzionali la incidenza di ambienti e di persone colluse o in odore di gravi compromissioni è sicuramente minore: perché la “pecora nera” favorita elettoralmente è una tra i tanti.
I sistemi elettorali maggioritari in certi contesti costituiscono un veicolo privilegiato per far pesare il voto inquinato, dato che per la caratteristica stessa di quei sistemi, ambienti organizzati possono far valere meglio il proprio consenso (l’utilità marginale) in termini numerici e così determinare maggioranze e vertici di esecutivi. Insomma, un grosso affare per le camorre organizzate: hanno a disposizione la “golden share” del voto elettorale.
Ovviamente la “golden share” elettorale può essere spesa anche da parte di altri ambienti ed in altri contesti non meno criticabili, ma come si sa la democrazia ha i suoi difetti e così le leggi elettorali: l’importante è rendersene, laicamente, conto.
Se ci fosse volontà bisognerebbe ragionare (tra l’altro) anche su questi rilievi, su queste ipotesi, quando si parla di sistemi elettorali, ma non risultano studi o riflessioni al riguardo. In questo Paese anche il “maggioritarismo” è diventato articolo di fede e guai a chi si mette contro.
In realtà non si tratta di invocare ritorni al passato, ma di pretendere che i sistemi elettorali abbiano adeguata capacità di rappresentare le diversità del corpo elettorale, l’efficienza degli esecutivi e che le minoranze equivoche non abbiano a prevalere.
Maggioriario o non maggioritario la nostra Carta costituzionale -benemerita- consente anche i governi Monti, non eletti. C'è qualche contraddizione in tutto questo che i "maggioritaristi" devono tener presente.

giovedì 5 gennaio 2012

Il suicidio dello Stato



Mettiamoci nei panni di un imprenditore, di quelli che formano oltre il 90 per cento delle imprese in Italia a che sostanziano la produzione interna per la gran parte. Di quelli che sono a capo di micro o piccole imprese, ma a volte anche con decine di lavoratori e dove il rapporto di lavoro con gli impiegati e gli operai è nato in base a rapporti di conoscenza diretta o di natura familiare, protratto nel tempo e in cui non si distingue a volte il lato lavorativo o personale.
Questo imprenditore vede anno dopo anno restringere le sue possibilità di essere presente nel mercato, perché con l’apertura delle frontiere non vi è possibilità di competere viste le condizioni che permettono di importare qui in Italia prodotti a basso costo. Poi ci sono le regolamentazioni di origine europea che impongono cambiamenti, adempimenti, adattamenti costosi che aggiungono oneri al prodotto e che non trovano eguali nei prodotti di importazione extraeuropea. Poi viene la crisi e con essa aumenti sconsiderati di imposte, di varia natura, di accise e ulteriori adempimenti che restringono quelle residue possibilità di galleggiare in un mare in tempesta.
Se il presente risulta così difficile cosa può pensare dell’orizzonte prossimo chi non ha sicurezze, garanzie, appoggi?
Contro la sicumera di chi predica sacrifici avendo come obiettivo solo il puntellamento del sistema in cui è vissuto, cosa può pensare chi deve confrontarsi anche con gabellieri pubblici che vanno cumulando esose tasse con interessi e sanzioni spropositati?
Cosa deve pensare l’imprenditore qualunque che non ha accesso al credito ma vede le banche ricevere soldi dalla Bce all’1%, le quali acquistano titoli pubblici italiani al 7% (nemmeno questo è vero, per altro, perché in buona parte ne fanno altri usi) il tutto con la garanzia dello Stato nazionale? Lo stesso Stato che con le ulteriori tasse avvia strane transazioni finanziarie con il Fondo monetario, perché l’Fmi acquisti titoli italiani: ancora una volta, con il guadagno dell’FMI per titoli al 7 per cento. Il tutto garantito ancora una volta dallo Stato Italiano. Domanda: non è che con queste decisioni aumenta il debito pubblico? E dove sta il Mercato in tutto questo?
Di questa macchinosa, complicata e diremmo fideistica conduzione della politica finanziaria cosa possono pensare quelli che devono inventarsi ogni giorno una ragione per sopravvivere? Qui sembra di stare negli anni ’30, ma non in Occidente, ove le decisioni degli Stati furono di ben altro contenuto. Qui lo Stato tartassa i cittadini per sostenere le banche, che non sostengono le imprese ed i cittadini: roba che fa il paio con quanto si pensava e si faceva negli anni ’30 in Russia, quando si costrinse alla morte milioni di piccoli contadini. Stanno puntellando un sistema che è in piena crisi, lo stanno sostenendo con fiducia, anzi con fede. Fede laica ed assoluta, che non ammette spazi per il dubbio o per il confronto, né per ripensamenti: e guai per chi rimane indietro!
E mentre nemmeno il Presidente dell’Istat ci capisce niente (o fa finta di non capire) delle lucrose indennità dei parlamentari e dei grand commis, cosa dovrebbe pensare chi teme da un momento all’altro l’irrompere nella propria vita di quell’Imprevisto (come nel gioco del Monopoli) che può stravolgere il presente ed il futuro?
Se la situazione è questa, si comprende il perché delle luttuose decisioni di imprenditori che cedono di fronte alle difficoltà sempre più pressanti. Meraviglia il fatto che solo oggi ne prendono consapevolezza i mezzi di informazioni principali.
Come nelle peggiori crisi economiche della storia per i molti prende il sopravvento , a fronte delle sicurezze e delle agiatezze di chi non rischia. Alle molte caste sovvenzionate dallo Stato (ovvero dai contribuenti) oggi si aggiungono le banche, anch’esse soggette a interventi assistenziali da parte di uno Stato che taglia e pretende, manovra dopo manovra.
Si recita una brutta commedia, che sta finendo in tragedia: aver confuso tutto quello che è avvenuto e avviene con l’economia di mercato. Qui di mercato e di democrazia, che sono cose serie, se ne vede sempre di meno. C’è la finanza che stravolge l’economia reale e con essa la democrazia. Le facili illusioni declamate negli anni passati hanno lasciato il posto ad un governo non eletto e ad una crisi profonda.
Insomma: al suicidio dei singoli si accompagna quello dello Stato.
Restano in piedi quelli che non rischiano, che sono tanti e comandano!