sabato 31 luglio 2010

Chi si ricorda di Naomi Klein?


C’è stato un periodo in cui anche in Italia era molto citata e letta; i suoi scritti inducevano a riflessioni significative di vaste parti del mondo giovanile e non: parliamo di Naomi Klein. Il periodo di maggiore notorietà della scrittrice canadese coincise con la maggiore espansione del cosiddetto fronte di Seattle, ovvero del movimento che metteva in discussione i principi del liberismo selvaggio, alla fine degli anni ’90. Poi successe quello che occorreva per mettere a tacere quel movimento, prima di tutto in Italia, a Genova a Luglio e poi in America a Settembre, nel 2001. La stessa Klein in uno dei suoi scritti parla della “Shoke economy”, ovvero della volontaria strategia di sfruttare disastri naturali o civili o addirittura provocarli per imporre le decisioni degli organismi economici internazionali.
La Klein ragiona a tutto campo e basa le sue riflessioni su ricerche molto corrette. Nei successivi dieci anni ha discusso e scritto di tanti avvenimenti che si sono verificati nella varie regioni del Mondo offrendo sempre una visuale originale, ma persuasiva, circa i fatti che man mano avvenivano: guerre, crisi economiche, relazioni internazionali.
La domanda posta all’inizio si giustifica col fatto che il suo nome è appunto scomparso dal dibattito di questo Paese. Evidentemente le operazioni di traumatizzazioni delle popolazioni (shoke) hanno avuto particolare successo in Italia. Di fatti, ci culliamo tra il calcio, l’avanspettacolo della politica e la deriva di vaste parti della nuove generazioni che in mancanza di alcuna speranza vanno incontro alla morte come nel caso di Duisburg. Ogni altra fonte di cultura e di speranza in questo Paese è combattuta, derisa, abbandonata. Al loro posto vi sono emozioni individuali o collettive, di piccoli o grandi ambienti, e così abbiamo Telethon, Sansuki, ognuno ha la sua associazione a cui presta qualche attenzione o qualche soldo, qualche minoranza da tutelare, un tutto che forma una sorta di nuova religione politeistica, dove la speranza è frammentata in direzioni di tanti e diversi idoli e in relazione alle proprie emozioni.
Mancano culture che abbiano respiro generale, che diano indicazioni più profonde e quelle che conosciamo o che emergono danno fastidio. Naomi Klein, evidentemente, era di troppo per gli Italiani.

Nessun commento:

Posta un commento