venerdì 26 febbraio 2010

La Politica del Fare

La “Politica del Fare” dà sostanza da qualche anno alla Politica in generale. Lo slogan di Berlusconi e di tanti altri, di ogni parte politica (e questo è significativo) dimostra ancora una volta che non resta altro compito alla politica che quello di spendere, giacchè non vi è più spazio per indicare ed attuare progetti più complessi, poiché la politica economica e la politica estera e tanto altro viene deciso altrove, in altre sedi, ma non a Roma.
Quello che preoccupa sono le conseguenze di questa smodata Politica del Fare. Da dove cominciamo?
In Abruzzo quello che è stato previsto è stato attuato. Interi quartieri nati dal nulla in aperta campagna, con prevedibili conseguenze materiali e di ambientamento sociale. Non si possono dislocare miglia di cittadini abituati al vivere nella città (una città antica e bella,come L’Aquila) in agglomerati senza storia e senza collaudati vincoli di conoscenza e di relazioni. Le chiamano Newtown.......
Le lottizzazioni in grande stile che avvengono in tante regioni ai fianchi di nuove superstrade sono visibili a tutti. Quando si parla di nuove strade in realtà si organizza un nuovo assembramento urbano.
I capannoni che circondano anche i più piccoli paesi sono il tratto distintivo di questa nuova “Era del Fare”. In realtà come ancor di più la crisi economica evidenzia le fabbriche chiudono e ogni cosa arriva dalla Cina o da altri Paesi.
In Italia c’è un consumo di territorio smodato, un’attività di costruzione delle case e di altri manufatti che non ha ormai ragion d’essere, visto il calo demografico, la diversa composizione delle famiglie e il diverso modo di vivere. Però si costruisce,perché è l’unica industria che funziona e la politica serve adeguatamente allo scopo. In questo settore non mancano soldi, certamente quelli pubblici che attendono solo una chiamata per essere spesi. Non mancano risorse private, sulle cui origini bisognerebbe riflettere visto l’incidere della crisi.
In Italia si consumano in nuove costruzioni 600 ettari al giorno di suolo, rispetto a quantitativi di gran lunga inferiori per altri Stai europei, dove il consumo di suolo viene stabilito per decreto e per l’intero Paese.
Nel frattempo il Piano casa come regolato dalla Regione Campania e dal Comune di Napoli sconta ancora una volta le contraddizioni e le arretratezze culturali e politiche della città partenopea. Ancora una volta nulla si può fare nell’ampio centro storico di Napoli, il quale sicuramente è degno di tutela ma presenta anche macchie vaste di degrado ed insignificanza urbanistica che richiederebbero,invece, riqualificazione attenta e coerente con il patrimonio più antico. Del resto anche la legge urbanistica regionale ha recepito tra i principi ispiratori la maggiore tutela del patrimonio naturale e il riuso e la ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente.
C’è da sperare che Caldoro o De Luca riflettano su queste che sono ormai diventate emergenze dei tempi moderni e che trascurino il casco per l’inaugurazione di nuove costruzioni che tanto sa di cafone.

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