Da vent’anni si discute di leggi elettorali ed ancora se ne
propongono altre. Il tutto mentre la “dottrina Marchionne” impone scelte, in
presenza di classi dirigenti incapaci di prendere provvedimenti all’altezza di
una crisi senza precedenti.
Il Parlamento, che dovrebbe decidere secondo i primi connotati
di una legge, ovvero che sia generale ed astratta, mutato in un laboratorio
dove il consenso degli elettori (che dovrebbe avere lo stesso peso, essendo i cittadini uguali
secondo la Costituzione) viene azzerato con soglie di sbarramento artificiose,illogiche,discriminanti.
I tentativi di recupero di questo o quel partito (la Lega a destra, Sel a
sinistra) con fantasiose deroghe alle quote di sbarramento (la prima perché potrebbe
avere 9% di voti in almeno tre regioni, la seconda perché potrebbe risultare
seconda lista nella coalizione) richiamano scene della migliore “commedia all’italiana”:
“I magliari” per esempio.
Tutto questo per dare corpo ad una vocazione tipicamente
berlusconiana ovvero quella del “un solo uomo al comando” così come il
cavaliere ha preteso fin dal ’94 e che ha imposto con tutti i mezzi che aveva a
sua disposizione, con una legge elettorale (il cd. Porcello) dichiarata
incostituzionale e finanche con una radicale riforma della Costituzione
sonoramente bocciata dagli elettori.
Peccato, il consenso ricevuto da chi si oppone alla destra,
pronunciando parole largamente presenti nell’area di sofferenza del Paese,
viene oggi svenduto per costruire un sistema ove primeggi un Faraone attorniato
da ciambellani e mandarini.
Solo in Italia si può pensare di costruire due caserme
elettorali senza passare per l’ovvio sistema maggioritario uninominale o veri sistemi
a doppio turno. Solo in Italia si può pensare ad una legge elettorale che
prevede un primo turno dove si rubacchiano i voti degli elettori di altre liste
e poi si propone un secondo turno dove i magliari si giocano il bottino
acquisito.
Ha ragione Sartori, qui non si ha un’idea della politica, si
gioca con i sondaggi e con le attese dei maggiorenti, senza tener conto di
principi fondamentali previsti dalla Costituzione. Dalla legge Acerbo del 1923,
alla legge Ruini del 1953, mai si era visto un tale accumulo di furbizie in una
legge elettorale.
Nel frattempo le grandi imprese vanno all’estero oppure
propongono stipendi a 800 euro al mese. Hanno ragione, in questo Paese di furbi
dove nessuno aggredisce i privilegi delle caste e si gioca a rubamazzetto elettorale,
l’unica via è quella di imporre il comando del capitale. Se non si tagliano i
costi dell’apparato pubblico le imprese tagliano gli stipendi netti. Insomma,
visto che non si è capaci di tagliare gli stipendi ai Mastropasqua pagati con
contributi e ritenute dei lavoratori e delle imprese, gli imprenditori tagliano
le paghe nette dei dipendenti.
Pur di resistere sulle dorate
poltrone le caste guardano altrove e i cittadini non si ribellano.
Strano Paese.