L’enorme gettito
tributario, con l’aggiunta di esosi interessi e sanzioni, non basta per tenere
a galla il sistema. «...bisognerà scoprire nuovi evasori, perché la riscossione dei tributi
accertati, per volontà politica, ha perso buona parte del mordente che aveva
guadagnato. Con il risultato che Equitalia si trova oggi in pancia una mole
spaventosa di somme da riscuotere. Cifre da iperbole siderale: 545 miliardi di
euro [...] Un buco potenziale enorme per i titolari di quei crediti (enti locali,
Stato, istituti previdenziali) che non riescono ad incassare – i più vecchi dei
quali risalgono all’anno 2000. Un problema molto serio che bisogna assolutamente affrontare» (A. Befera, 23/6/2013, Corriere della
Sera). Il Capo della riscossione dei tributi in Italia ci dice che ha le mani
legate e che con gli ultimi provvedimenti che limitano le procedure esecutive
nei confronti dei contribuenti bisogna volgere lo sguardo altrove. E se 545
miliardi non sono sufficienti per descrivere un popolo di criminali, evasori,
incivili, bisogna, dice Befera, trapanare ancor di più nell’esistenza dei
cittadini, per sapere ogni cosa della loro vita, per attingere ulteriori
risorse necessarie.
In realtà quei 545 miliardi
non sono dovuti (tutti) da criminali, evasori, incivili, sono quanto dovuto
dalla massa dei contribuenti dopo che è stato accertato il debito fiscale.
Appare fondata allora qualche considerazione sull’efficienza del sistema di
riscossione e sulla tenuta del rapporto civile tra pubblico e privato, Stato e
contribuente.
Quasi contemporaneamente
all’intervista a Befera l’Agenzia AdnKronos (22/6/2013) cita dati ufficiali della Corte dei Conti che
confermano sostanzialmente quanto riferito dal presidente di Equitalia: ”in 12 anni
emessi ruoli per 596 miliardi, incassati solo l’11,6%”. Praticamente l’attività di riscossione si è fermata a quota 69 miliardi circa con un crollo
nel 2010 all’1,9.
Se non si
tratta di incapacità a riscuotere, si può pensare all’altra ipotesi e cioè che
il sistema non funziona più, molti cittadini contribuenti non pagano. La crisi
morde, viene da lontano e non si scorge la fine di essa.
E si aggrava: i ministri delle
finanze europei hanno firmato l'accordo che stabilisce che il fallimento delle
banche verrà pagato dai creditori, azionisti, investitori istituzionali e dai
correntisti con più di 100.000 € in depositi. Il Financial Times afferma che il nostro Tesoro ha un «buco» di forse 8
miliardi. Non finisce qui, ai 90 miliardi di euro annui che dobbiamo pagare di
interessi sul debito di 2000 miliardi (ed oltre) occorre aggiungere che i
governi italiani hanno preso l’impegno di ridurre il debito italiano dal 120%
(e oltre) del Pil, al 60%: a rate di 50 miliardi l’anno. Su tutto questo si
minimizza. Il linguaggio burocratico prevale, in Italia e in Europa, la classe
dirigente nostrana segue, docile, i dettami delle tecnocrazie bancarie e
finanziarie. A nessuno viene in mente, oggi, di proporre qualcosa che non sia l’aumento
delle tasse (in questi giorni in silenzio sono aumentato bolli ed accise) o
aumenti degli acconti d’imposta: proprio come un debitore che si mangia i
futuri redditi.
In prospettiva è
difficile immaginare né l’uscita dal tunnel, né il verificarsi di un punto di
rottura: entrambe le situazioni richiederebbero capacità e consapevolezza che
entro i confini nazionali non ci sono. Sarà un lungo declino fatto di
privazioni sempre più diffuse e di vita facile per gli squali, quelli di
sempre, in attesa che altri trovino la soluzione. Intanto in Germania è nato un
partito – Alternative fuer Deutschland (AfD) – che propone l’uscita del Paese
dall’euro. Uno dei promotori è l’ex presidente della Confindustria germanica
(BDI), Hans-Olaf Henkel, già entusiasta sostenitore dell’euro.
A quanto pare anche a
Berlino ci sono comici.
