domenica 30 settembre 2012

Sorprendente Keynes!



John Maynard Keynes (proprio lui) nel 1933 scriveva  in “National Self-Sufficiency”:
«Come la maggior parte degli inglesi, sono stato educato nel rispetto del libero scambio, considerato non solo come dottrina economica che nessuna persona razionale ed istruita potrebbe mettere in dubbio, ma come un elemento della morale. Consideravo le offese a questo principio come stupide e scandalose. Pensavo che le inconcusse convinzioni dell’Inghilterra in materia di libero scambio, mantenute da più di un secolo, spiegassero la sua supremazia economica davanti agli uomini e a Dio».
L’economista, che conosciamo soprattutto come propugnatore di sviluppo economico anche in fase di crisi economica, spiega in questo testo come e per quali ragioni è doveroso ed utile tutelare l’economia nazionale. Attenzione, per i cuori deboli: Keynes non è un bieco conservatore o peggio ancora, ha (lui) davvero a cuore l’economia di mercato.
«Mi sento più vicino a chi vuol diminuire l’interdipendenza delle economie nazionali, che a coloro che la vogliono accrescere».
A questo punto non risulta difficile capire il perché, anche non approfondendo la lettura del testo. Era comune conoscenza, un tempo, dei guasti provocati dall’espansione del cosiddetto “neocolonialismo” ovvero l’introduzione di economie, per esempio in agricoltura, imperniate sulla monocultura o sull’abbandono di settori economici per altri, assecondando le voglie di maggiori profitti degli investitori: impoverimento delle terre, penuria di beni, abbandono delle campagna con ricadute in termini ambientali e di sicurezza del territori. Conseguenza ancor più significativa: la perdita di conoscenza del “saper fare” soprattutto nel manifatturiero o altri settori importanti per un’economia bene strutturata.
Keynes continua:«Tendo a pensare che, dopo un periodo di transizione, un grado più alto di autosufficienza nazionale ed una maggiore indipendenza economica fra le nazioni di quella che abbiamo conosciuto nel 1914 possano servire la causa della pace, piuttosto che il contrario».
Da Fukuyama in poi la cantilena del Pensiero unico ci predigeva un mondo ormai pacificato ove non c’era più spazio per le guerre. Previsioni infondate. Da dieci-quindici anni il mondo conosce una guerra all’anno, guerre che nascono con schemi uguali e con attori sempre presenti. Il binomio pace e globalizzazione si rivela infondato.
«Se si potesse evitare la fuga dei capitali, opportune direttive economiche interne sarebbero più facili da attuare. C’è un vero divorzio tra i proprietari del capitale e i gestori delle imprese, quando, a causa della forma giuridica delle aziende, il loro capitale è suddiviso tra una miriade d’individui che comprano azioni oggi, le rivendono domani e non hanno la conoscenza né la responsabilità di ciò che possiedono per poco tempo. Questo è già grave allinterno di un Paese; ma le stesse pratiche estese su scala internazionale diventano intollerabili in periodi di tensione».
Ecco, appunto, la scissione tra impresa e proprietà, tra capitale e territorio, determina l’impossibilità di decidere politiche economiche, politiche industriali, e il governo dell’economia si riduce a rincorrere lo “spread” con artifici contabili che lacrime sangue costano ai popoli, come in Grecia, in Spagna, in Italia…
Nel frattempo, mentre i nostri governanti invocano ancor più Europa(mentre altri perseguono interessi nazionali) e più mercato (il mercato degli altri, ovviamente) le fabbriche chiudono e si svende il patrimonio pubblico. 
Coerenti!: viviamo in un mondo globalizzato.

mercoledì 26 settembre 2012

Laicissima Francia



Alessandra Colla, blogger, ha tradotto il testo di un video di Emeline Becuwe, relativo al caso delle vignette anti-islamiche pubblicate dal settimanale francese “Charlie-Hebdo”.
Che sensibilità nella laicissima Francia!
No, Charlie.
Non sono d’accordo con voi e mi batterò per tutta la vita — se sarà necessario — affinché voi non possiate più, col pretesto della libertà, calpestare il senso di ogni trascendenza. Per voi è la libertà che trascende… per loro, è la trascendenza che rende liberi!
No, Charlie.
In nome della libertà d’espressione voi non mettete in gioco la vostra vita, ma la vita degli altri…
Ci avete pensato, almeno un momentino? Ai vostri compatrioti che stanno al Cairo, a Tunisi, o a Tripoli? E che presto potrebbero non aver più l’occasione di leggervi…
No, Charlie.
La vostra caricatura è un oltraggio per chiunque abbia due grammi di cervello e un minimo di conoscenza dello stato dei luoghi, delle forze in gioco e del desiderio di vendetta che avete appena scatenato.
No, Charlie.
Non si ha il diritto di arrogarsi tutti i diritti, né di offendere e di vituperare le genti in quel che hanno di più sacro: l’oggetto della loro Fede o del loro dubbio.
No, Charlie.
Non esiste soltanto la libertà… esiste anche il segreto, che s’accompagna al massimo rispetto dovuto a tutti coloro con i quali desideriamo vivere e morire in pace.
No, Charlie.
Io so che voi sapete quello che tutti sanno: che ogni cattiva causa comporta gli effetti peggiori… saranno degli innocenti a pagare la vostra piccola libertà di libero pensatore senz’ombra di responsabilità.
No, Charlie.
Non si ha il diritto di toccare un profeta quando ci si vuol prendere gioco di qualcuno. Se gli islamici non vi prendono sul serio, allora dovete andare a dirglielo in faccia: senza profanare con i vostri cupi disegni la loro religione e la loro impronta sul mondo.
No, Charlie.
Non parlate più di libertà d’espressione… ma di valori e di scala di valori.
Ed è, o almeno sembra, importante ricordarvi che su questa scala la libertà di coscienza viene per prima. Non si è certamente obbligati a onorarla, ma non si ha il diritto di disonorarla.
No, Charlie.
La vostra caricatura è un’impostura bella e buona.
Anzi, è marketing. Un marketing che costerà la vita a tutti quanti credono che si possa ridere di tutto e con tutti. È una dichiarazione di guerra… guerra di religione, di cui nessuna libera espressione al mondo può andar fiera.
No, Charlie.
Se l’offesa è l’espressione della vostra libertà, ammettete dunque che la violenza sia l’espressione della loro libertà. Scambio di scortesie.
No, non dite “presumo…”! Dite “assumo…” — le mie responsabilità.

lunedì 17 settembre 2012

Una crescita più umana



Da un articolo di Serge Latouche (La Repubblica.it-14.09.2012): “Viviamo in una società della crescita. Cioè in una società dominata da un’economia che tende a lasciarsi assorbire dalla crescita fine a se stessa, obiettivo primordiale, se non unico, della vita. Proprio per questo la società del consumo è l’esito scontato di un mondo fondato su una tripla assenza di limite”.
Il filosofo della “decrescita”, divenuto negli anni bersaglio di derisione e scetticismo, comincia ad avere attenzione e considerazione. Cosa buona, magari si fosse dato ascolto ai tanti movimenti che negli anni passati, anche con imponenti manifestazioni, obiettavano sui limiti di una concezione economica, trainata soprattutto da logiche finanziarie, che avrebbe portato povertà diffusa, disuguaglianze estreme e guerre. La “globalizzazione” come è stata raccontata, ci dicevano, avrebbe portato l’umanità ad un’epoca di pace. Così  non è stato e non è. L’interdipendenza tra stati e popoli imposta secondo le logiche finanziarie, al contrario, produce guerre armate e crisi economiche.
Latouche parla di limiti, propri della dimensione umana e del progresso, fino a considerare quel concetto (“il limite”) uno spartiacque tra diverse concezioni anche in dimensioni che non sono proprie dell’economia. Infatti, continua:”Un meccanismo che tende a produrre infelicità perché si basa sulla continua creazione di desiderio. Ma il desiderio, a differenza dei bisogni, non conosce sazietà. Poiché si rivolge ad un oggetto perduto ed introvabile, dicono gli psicoanalisti. Senza poter trovare il «significante perduto»”.
Ce n’è abbastanza per riflettere sullo stato delle cose, non solo in riferimento all’attuale, generale, crisi economica dell’Occidente, che a differenza di altre regioni del Mondo sembra aver abbracciato un disegno di onnipotenza, rifuggendo l’essenza di ogni cultura significativa che sempre impone, per il bene comune, limiti. Ce n’è anche in riferimento per i tanti altri aspetti della vita individuale e di relazione.
“La società della descrescita si propone di fare la felicità dell’umanità attraverso l’autolimitazione per poter raggiungere l’“abbondanza frugale”. Insomma, molto, diviso più equamente per tutti.
La ripresa di questi concetti potrà essere il punto di ritorno alla politica, oggi ridotta ad una funzione servente rispetto alla smisurata voglia di accumulazione di ricchezza che guida, già sul piano culturale, le vicende di questi tempi.
Si assiste ad una costante gara tra forze politiche, in quest’Europa, per dimostrare di essere più capace di dare spazio, ancor di più, a politiche dettate da disegni di dominio economico. La realtà è che nessuno al momento mostra un pensiero critico alternativo al pensiero unico dominante.

martedì 11 settembre 2012

“a domanda risponde”



Certo, c’è la probabilità di parlare a vanvera e altrettanto di scriverne quando si tratta di indagini giudiziarie coperte ancora da segreto istruttorio, però non si può negare all’Italia delle tifoserie contrapposte di dire qualcosa, comunque, su Ingroia, trattativa Stato-mafia ecc.
Quando i magistrati (alcuni magistrati…) sentono la necessità di parlare e dibattere delle inchieste che hanno in corso sbagliano i tempi, quando avanzano letture storiche perdono tempo e quando non tengono conto dei confini tra politica e codice penale commettono atti di superbia.
La vicenda di cui si discute in questi giorni (sui giornali, non nei tribunali) ovvero se vi sia stata una trattativa Stato-mafia, aveva trovato un momento dirimente quando, interrogato sulla revoca dell’art. 41 bis per i mafiosi (questo sarebbe stato il “prezzo da pagare") l’allora ministro della Giustizia (stimato e autorevole) prof. Giovanni Conso disse che quella decisione era stata una sua libera determinazione, così come previsto dalle leggi in materia. Poteva finire lì.
Quante volte possibili inchieste e procedure giudiziarie finiscono prima di iniziare sul primo esito del fatidico “a domanda risponde” che usano anche agenti di polizia giudiziaria in tanti casi di vita quotidiana? Quante inchieste muoiono prima di iniziare?
Invece si va avanti,si procede con attività investigative che riguardano la composizione dei governi nell’arco di due tre anni, se la nomina o la sostituzione di questo o quel ministro fosse giusta in riferimento al "peso" delle “correnti” di appartenenza e così via. Roba grossa, come si vede.
E’ di oggi una intervista che riguarda la situazione delinquenziale del quartiere di Scampia a Napoli, leggiamo:"Se avessimo avuto l'emissione di circa 200 misure cautelari che la Procura ha chiesto da qualche anno all'ufficio Gip - ha commentato qualche giorno fa il vicecapo della polizia, Francesco Cirillo - forse questo avrebbe aiutato la nostra opera di prevenzione e repressione. Nei quartieri della nuova faida - ha aggiunto - ci sono oltre 200 persone che oggi potrebbero stare in carcere invece d'essere libere di fare gli interessi dei clan, magari di sparare, o di essere uccise".
Ecco, di fronte a queste dichiarazioni, se fossi uno di quei noti magistrati che non dormono la notte comincerei ad indagare: sui gip che non firmano 200 arresti, il motivo, cosa c’è sotto, quali connivenze……
Per ritornare seri, oggi è l’11 settembre, vorremmo ricordare che per quella strage e per tutto quello che la riguardò non si è avuta alcuna attività della magistratura: tutto relegato e affidato a una commissione di nomina politica….e Guantanamo è ancora occupata.
Da noi come si sà tutto è più complesso, siamo il paese dell'opera lirica.

sabato 1 settembre 2012

Michele:pensieri complessi



Chissà perché i cosiddetti diritti individuali della persona (per i quali tanta politica è mobilitata) esprimono sempre un qualcosa di negativo, essendo relativi ad un “finire” e dunque alla morte. L’apparente impressione di conquista di libertà (ma che comunque si rivela forma di egoismo rispetto agli inevitabili legami sociali cui sono connessi) si rivela come un percorso rivolto alla morte di rapporti, di persone, propria o di altri.
Difficile da far capire a Michele (Serra) il quale oggi prendendo spunto dalla morte del cardinale Martini ribatte sulla bontà del “testamento biologico” e si scaglia contro la vicesindaco di Milano (Pd) perché contraria. Michele in questi casi è perentorio:”Mi dispiace doverlo dire con inevitabile brutalità: ma chi è contro il testamento biologico è contro l’autodeterminazione degli esseri umani. Il vicesindaco di Milano, purtroppo, non fa eccezione.”. Così, con brutalità e senza alcun ragionamento. Michele, si sà, veicola emozioni per un pubblico semplice.
Invece la vicesindaco di Milano, può darsi, che si aggrovigli in letture un pò più complesse, magari su cose di questo tipo: Lucien Israel oncologo francese, ebreo agnostico che afferma in un’intervista «Senta, anche al di fuori di una qualunque ottica spirituale, un medico non è autorizzato a togliere la vita a qualcuno. Per quel che mi riguarda, la mia posizione non dipende da considerazioni religiose: un medico, chiunque egli sia, agnostico o credente, non deve riconoscersi il diritto di togliere la vita a qualcuno, quando in realtà è in grado di alleviare le sue sofferenze». Ecco, pensieri complessi altro che emozioni, cullati dall’amaca.
Non per farla lunga(del resto i pensieri di Michele sono brevi: i lettori si stancano) ma l’egoismo che traspare nella pur celebrata filosofia dei diritti individuali provoca irritazioni sul piano generale in tanti che si interrogano sulle derive del pensiero definibile come progressista. Gli spiriti animali del capitalismo selvaggio sono stati capaci di direzionare verso altri obiettivi la capacità di reazione dei ceti e individui svantaggiati, verso la conquista e l’affermazione di diritti che non solo si caratterizzano in negativo (fine o morte di persone, di rapporti, di dignità) ma che vengono assunti in maniera del tutto isolata dal contesto sociale in cui si manifestano. Il verbo della privatizzazione non riguarda solo l’economia, ma riguarda anche la persona con tutte le implicazioni dei rapporti umani e sociali.
Il liberismo prima di vincere sul piano economico vince in Italia, in Europa, perché riesce a veicolare il pensiero politico verso l’affermazione dei cosiddetti diritti individuali in cambio della concessione degli spazi tradizionalmente propri dell’affermazione dei diritti economico sociali.
Costanzo Preve, riconosciuto (all’estero, ovviamente) come un importante cultore del pensiero marxiano coglie da tempo questo fenomeno ed afferma cose di questo tipo:” Stiamo assistendo all'intera assimilazione del modello europeo, e cioè alla sua fine, nell'unico modello anglosassone-USA, frutto di un tradimento storico delle classi dirigenti europee, americanizzate linguisticamente e culturalmente. Questo non avviene attraverso la vecchia ed obsoleta dicotomia Destra/ Sinistra, difesa per interesse dal ceto politico pro­fessionale e per stupidità dal ceto intellettuale identitario e tifoso, ma attraverso la vittoria del partito degli economisti (PE) sul partito del politici (PP). Il capitalismo già ai tempi Reagan-Thatcher stava cambiando forma, e quindi prima della caduta catastrofica del baraccone socialista. Le ragioni del mutamento erano interne alla dinamica del modo di produzione, ed erano dettate dalla cosiddetta globalizzazione e dalla privatizzazione di tutto ciò che era privatizzabile. Ma i mutamenti semantici propiziati dal ceto intellettuale dell’ultimo ventennio ha associato la sinistra soltanto alle gesticolazioni irrilevanti della FIOM, alla retorica di Vendola, ai matrimoni gay, alla insistita polemica laico-radicale contro la chiesa cattolica e Ratzinger, alle sfilate femministe (ah, le donne, le donne!), al belare ostensivo pacifista (pacee, pacee, diritti umanii, diritti umanii, abbasso i dittatori, processate Gheddafi, Milosevic, Saddam Hussein, tutti meno la Clinton ed Obama, eccetera).” .
Chissà cosa ne penserebbe il Serra di quanto qui riportato circa il fondo di egoismo insito nei diritti che lui declama e quanto si riconoscerebbe nella veste di intellettuale di comodo per le politiche liberiste.
Ma basta così, Michele trasmette emozioni, non vuole troppi pensieri.