sabato 25 febbraio 2012

La favola dell'ICI


“Ici, la Bocconi di Monti non paga dal 2005. E il Comune di Pisapia presenta il conto. Scontro tra il sindaco di Milano e l'Ateneo: la contesa riguarda le residenze universitarie in via Spadolini, un complesso per studenti fuori sede con 333 camere a disposizione della gioventù bocconiana su cui non sono stati versati i contributi a Palazzo Marino dal 2005”.
La questione che prende le prime pagine dei giornali in questi giorni potrebbe essere aperta così, invece che con il solito riferimento alla Chiesa. Non è per particolare devozione che si affermano queste cose ma vale la pena sottolinearle per due motivi. Il primo è la complessità del problema. Il secondo è dato dal fatto che la vicenda non riguarda esclusivamente la Chiesa ma tanti altri soggetti collettivi che in questi giorni si riparano dietro di essa. In ogni caso si dimostra ancora una volta la prevalenza di un sistema d’informazione sciocco e conformista, quanto basta per rimanere nell’ambito della immanente nuova religione del “politicamente corretto”.
L’esempio all’inizio riportato dimostra: che l’esenzione dall’Ici riguarda anche laicissime università che tanto danno al Paese (compreso Mario Monti) così come riguarda i sindacati, i partiti, associazioni culturali ed altri, come si vedrà. La seconda è che nella solita congerie di definizioni normative che riguardano l’Ici, anche per questi aspetti particolari, ci si scontra con concetti non facilmente traducibili in obblighi e pretese tra contribuenti e autorità impositive.
In un Paese dove per la scuola non ha più senso parlare di una netta distinzione tra scuola pubblica e privata, di una sanità che solo formalmente è privata, ma per lo più partecipa a pieno titolo del sistema sanitario nazionale, risulta incomprensibile che la stampa accenda i fuochi contro i soliti noti, non tenendo conto che la composizione dei diversi interessi risulta obiettivamente difficile. Quando la legge esenta dal pagamento dell’imposta gli edifici “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”, ne consegue che i pretendenti all’esenzione sono chiaramente molti e di ogni colore.
In realtà, per limitarsi ad una sola considerazione tecnica, la questione andrebbe risolta non solo in riferimento alla particolare destinazione svolta negli edifici, ma anche in riferimento alla circostanza che dall’attività si tragga un utile e alla previsione di distribuzione dell’utile.
In Italia succede questo, che il sistema informativo, per la gran parte, soffia sul fuoco per spirito di parte, senza dare conto della realtà delle cose.
Un po’ come all’asilo tra maestri e alunni. Si narra quello che i piccoli amano sentire.

sabato 18 febbraio 2012

"Addà passà a nuttata"


La pressione fiscale da sempre costituisce segnale di decadimento di sistemi politici. Dall’Impero Romano ai possedimenti britannici in Nordamerica, crolli e sollevazioni hanno visto un’accentuazione della pretesa tributaria dell’Autorità non ritenuta giustificabile da parte dei cittadini, soprattutto in presenza di disparità di trattamento e di disordine nella spesa pubblica. Come nella fine dell’Ancien regime, quando la classe dirigente dell’epoca, come la classe equestre della Roma degli imperatori, si arricchiva a danno del popolo sottraendo oltre il lecito risorse, nell’Occidente in decadenza vediamo sfruttamento e arrichimenti, senza che si veda, oggi, il rimedio.
In presenza di una crisi economica che vede fallimenti, chiusure di attività, licenziamenti e suicidi, si nota una particolare attività legislativa ed esecutiva tendente a reperire risorse anche dove ormai mancano, pur di conservare privilegi che non trovano giustificazione.
I mezzi d’informazione danno conto di attività di controllo a tappeto nelle città, che evidenziano (quanto in maniera attendibile?) irregolarità fiscali come la mancata emissione di scontrini. Come se la pretesa tributaria (cosa che tanti ignorano) dipendesse da quelli o addirittura dalla contabilità d’impresa. Basta leggere quanto afferma il presidente di Cgia al riguardo dei famigerati “studi di settore”: “Con gli studi ormai a regime la valenza fiscale di questi strumenti (il controllo sugli scontrini) non ha più senso, visto che i ricavi degli autonomi, e le conseguenti imposte e contributi da versare allo Stato, sono stabiliti a tavolino dall’Amministrazione finanziaria attraverso gli studi di settore”.
Nel frattempo la norma posta dal Governo Monti sulla limitazione di compensi pubblici che non dovrebbero superare lo stipendio lordo del presidente della Corte di Cassazione (circa 300 mila lordi) pare stia andando in cavalleria, in sede di conversione in Parlamento. Le giustificazioni, le ragioni contrarie espresse dai parlamentari non mancano. Si sa, ognuno aiuta l’altro,anche in presenza di un tracollo economico, l’importante è che paghino gli altri. A proposito: il Davigo che parlava (e parla) di sistema corruttivo ambientale non ha da dire nulla in proposito?
C’è chi teme il successivo intervento della Corte Costituzionale: “le sue sentenze, infatti, non consentono riduzioni dei trattamenti economici in vigore. Gli stipendi non si toccano, nessuna “reformatio in peius” è ammessa.” E ti pareva! in Italia trionfano i “diritti quesiti”, anche quando tanta gente perde redditi, lavoro e si moltiplicano i suicidi. Il decreto dovrà essere approvato martedì 21 febbraio. Vista l’aria che tira sicuramente sarà modificato nel senso che il tetto varrà per le nuove nomine. Befera, Mastropasqua, Catricalà, i dirigenti di Authority, dei Monopoli di Stato e di altre di autorità pubbliche già stanno festeggiando.
Nel frattempo la Rai (che regala soldi a tanti che tiene sul libro paga) chiede a 5 milioni di imprese il pagamento del canone su qualsiasi apparecchio in grado di ricevere il segnale televisivo: pc, videofonini, videoregistratori, iPad e sistemi di videosorveglianza."Vanno anche per le tozze" si dice a Napoli.
Per finire, il Procuratore nazionale Pietro Grasso suggerisce di applicare sequestri e confische agli evasori, come ai camorristi. Insomma siamo in guerra (economica) e ognuno la spara più grossa possibile, addosso agli altri. Mai che qualcuno suggerisca di istituire una “commissione per gli approfittamenti di regime”.
Siamo come in Napoli milionaria: “addà passà a nuttata”.

sabato 11 febbraio 2012

Ci manca Dickens



Il calendario delle emozioni proposto da Google offre tante occasioni di contrizione, di sedgno, di esaltazione, per piccoli e grandi uomini. Sono le liturgie dei tempi moderni, che vengono ben accolte perché costano poco, non ci si muove dalla sedia, basta cliccare e condividere, copia-incolla, battere il petto e recitare con devozione.
C’è una ricorrenza che è passata invece sotto silenzio, a me pare, anche sulla stampa ed in televisione e riguarda il bicentenario di Charles Dickens, scrittore inglese dell’ottocento, noto per l’attività di romanziere e di giornalista.
Dickens descrisse la realtà dei suoi tempi, né più né meno osservando i mutamenti dovuti all’irrompere della prima industrializzazione, all’urbanizzazione e soprattutto alla povertà provocata dalla egemonia assunta dai nuovi ricchi imprenditori.
Dickens non fu l’unico, né in quel tempo né dopo. Avviò il genere definito “romanzo sociale” che illustrava le contraddizioni, le ingiustizie provocate dalla volontà dei ceti ricchi a danno di vasti strati di popolazione, volontà non mediata dalla politica e portatrice di una concezione della vita secondo la quale la ricchezza è manifestazione della Capacità e addirittura della Grazia di chi ne beneficia, mentre la povertà è conseguenza della Colpa innata.
Da Dickens, a Zolà, a Ignazio Silone, a tanti altri, la letteratura, ma anche il giornalismo che prende il largo come fonte di conoscenza, nell’ottocento e nel novecento presentano un sapere che sempre più tiene conto della condizione dei poveri e dei ceti svantaggiati rispetto alle storture e alla sete di ricchezza di chi ha potere.
E’, quello, il tempo in cui la politica si esprime attraverso leader e pensatori in direzione di un cambiamento radicale della realtà o verso una moderazione delle spinte più egoistiche dei “padroni”.
Ci manca Dickens, perché saprebbe illustrare bene, con la capacità del romanziere, situazioni che non si differenziano molto dai suoi tempi. L’obbligo di privilegiare i ricchi perché capaci di creare crescita da distribuire a tutti, il mantra della quadratura dei conti, dogma da rispettare a danno della dignità di vita delle persone.. tante cose ricordano oggi i suoi tempi. Mancano persone e parole capaci di descrivere la satolla insufficienza con la quale molti guardano con indifferenza alla povertà degli altri, che avvenga in Grecia o in Irlanda o magari in Italia.
Dickens, Zolà, Silone, come tanti leader e pensatori politici parlavano della ingiustizia tra gli uomini e delle storture della società, tra quelli che erano messi bene e quelli che dovevano arrangiarsi e hanno scritto e hanno lottato per riforme e per rivoluzioni senza frenarsi di fronte a remore furbescamente manifestate dai benpensanti di allora e cioè che la denuncia letteraria o l’azione politica fosse manifestazione di invidia sociale (“istigazione all’odio tra le classi”, un reato). I grandi cambiamenti della storia non tengono conto di questi piccoli sentimenti. I ragazzi di Dickens e i cafoni di Silone non avevano tempo per queste remore, né i riformisti e i rivoluzionari si accomodavano al tavolo dei “padroni” col cappello in mano.
Buona parte delle “teste pensanti” di oggi hanno l’irrefrenabile voglia di essere ed apparire conformi al credo prevalente e mentre la realtà cambia drammaticamente per milioni di persone e per interi paesi, i nostri guardano dall’altra parte perché vogliono essere ricevuti a corte o rimanerci. Non c’è spazio per le tragedie di sempre e che pure si ripetono. La povertà la fame, il predominio dei forti sui deboli, persone o stati..roba vecchia, non fa tendenza. E vai con la legalità, con il merito, con la capacità, con la crescita…e così via. Tutte cose buone e giuste, ma mai che mettessero sul tavolo ingiustizia, disuguaglianza, prevaricazione, dignità.
Sono i sacerdoti dell’Ordine prevalente, ne sono tanti, hanno la pancia piena e non si guardano attorno.
Ci mancano Dickens, Zolà, Silone…davvero.

lunedì 6 febbraio 2012

Coscienza di Cassa


"Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa citta', di fianco a mamma e papa'. Così Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno, a proposito della “monotonia del posto fisso” già denunciata dal Monti come male nazionale.
A questo punto uno dovrebbe sottolineare le enormi contraddizioni di cui vive questo Paese dove i sacrifici e le ristrettezze ritenute necessari sono imposti sempre agli altri e mai per sé.
La questione relativa all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che meriterebbe una discussione vera circa l’applicazione che se ne è fatta in questi decenni, diventa uno spartiacque significativo delle due parti in cui si divide la nazione. Da un lato i garantiti, dall’altra quelli che si arrangiano. Un ministro dell’Interno che proviene dalla burocrazia dello stesso ministero e un presidente del Consiglio che proviene dalle università sono gli ultimi che possono deridere o sottovalutare le tutele (limitate, insufficienti) che regolano il rapporto di lavoro privato in Italia, sopratutto quello non sindacalizzato. I professori universitari in questo Paese godono della inamovibilità, oltre alla sicurezza del posto di lavoro che spetta a chiunque altro ha un rapporto pubblico di lavoro e, così come un prefetto, un professore delle università gode di ragguardevoli stipendi.
Il problema allora si pone in evidenza quando chi comanda la truppa chiama quest’ultima a fare sacrifici. Insomma siamo alle solite, chi guida non si sottopone ai sacrifici, godendo di privilegi e dispone che gli altri (i non garantiti, quelli che si arrangiano) stringano la cintura.
Se non ci fosse l’italico dividersi tra opposte tifoserie su ogni questione, si potrebbero affrontare i problemi attuali facendo riferimento ai rispettivi stati di vita, di reddito, di rapporto di lavoro, soprattutto per chi guida le sorti del Paese, per chi fa informazione, per chi anima il dibattito politico. Praticamente si dovrebbe leggere immediatamente la tessera d’identità economica di chi parla per capire subito dove sta l’interlocutore. Una delle scene televisive più surreali degli ultimi giorni è quella che ha visto il Faziofabio intervistare Landini (segretario della Fiom) sulle difficoltà degli operai. Ecco, appunto: come fai a farti intervistare sulle paghe operaie da 1.000 euro al mese al microfono di chi ne guadagna 2 milioni all’anno? E così il Landini perde l’occasione per mettere il dito nella piaga fondamentale che ammala questo Paese. Il silenzio in cambio di un’intervista: il prezzo da pagare. Per evitare proteste va detto che il discorso vale anche per il Vespa e il Ferrara.
Il Monti considera noioso il “posto fisso”:…e lui come campa da quarant’anni?
Il Befera va a caccia dell’evasore col macchinone a Cortina… e lui che viaggia a 700 mila euro a carico delle casse pubbliche, crede di essere estraneo al disastro economico in corso?
La Cancelleri, una vita al ministero dell’Interno, sfotte la gente che vuole il posto di lavoro vicino a mamma e papà: non c’è problema, i nuovi lavoratori possono anche trasferirsi dalla Sicilia o dalle Alpi a Roma, basta riservargli gratis uno dei trecento appartamenti nel centro della capitale, così come avviene oggi a favore di dirigenti (ben pagati) del ministero dell’Interno (Presa diretta-Rai3).
Viene quasi tenerezza per il senatore Lugli che si porta all’estero 13 milioni di rimborsi elettorali. Ha capito in un botto come funzionano le cose nel Paese, quando si tratta di casse pubbliche: basta stare al posto giusto, al momento giusto…e il conto lo paghino gli altri!
A proposito di università, bisognerebbe considerare che in altri Stati, ai quali si guarda con “meraviglia”, la regola per i professori, ma spesso vale per tutto il pubblico impiego, è quella della temporaneità del rapporto di lavoro, soggetto a verifica per il rinnovo alla scadenza. Come sempre abbiamo riformisti a metà. Guardano all’America, ma solo per quello che non li riguarda.
Si potrebbe parlare di queste cose, ma poi il bidello precario, che sente di appartenere al Sistema, protesta e allora se ne fa niente.
Non c’è più la coscienza di classe, oggi hanno tutti coscienza della Cassa e dunque, avanti con le "Riforme" e abbasso le rivoluzioni.

mercoledì 1 febbraio 2012

Paperoni d'Italia



Si legge:”Purtroppo l’Italia di Mario Monti ha scelto la medesima strada greca per i cittadini Italiani. La spesa pubblica di questo paese è stata lasciata tutta li, nella sua grottesca dimensione, la classe dirigente parassitaria, dai politici alla confindustria e ai sindacati non concepisce neppure l’idea che solo un taglio immediato di spesa, tasse, regole e burocrazia può farci uscire dalla crisi in regime di solvibilità.”.
Sebbene la classe politica italiana segue con accondiscendenza le scelte (gli ordini) che provengono oltre atlantico in materia di relazioni internazionali, ivi compreso l’immediata disponibilità a bombardare quando occorra, ci sono altri esempi e principi che non vengono affatto presi in considerazione. Ancora una volta il “buon” Edward Luttwak ci avverte: “Draghi era ridicolo quando da baby pensionato a 14.000 Euro auspicava tagli alle pensioni altrui di 1.400. Adesso è Visco che premia l’austerità mentre raccoglie un salario doppio rispetto al suo collega della BCE (750.000). I padroni pagavano di proprio quando fallivano. Questi impiegati no.”. Bisognerebbe vergognarsi a sentire queste cose, invece da noi: silenzio!
Ovviamente gli esempi potrebbero crescere perché quello che è avvenuto in Italia nell’ultimo quindicennio sa di pazzia o di pirateria, propria di chi sa che prima che la nave affondi bisogna arraffare. Lo stesso Luttwak in televisione, tempi addietro, paragonava gli stipendi di magistrati, ambasciatori, prefetti con gli stipendi (più bassi) degli omologhi di altri paesi civili.
Tant’è, in questo paese si sa come vanno le cose e la classe dirigente è quella che conosciamo da un centocinquantennio a questa parte. Tromboni che costano troppo e alla prima occasione sono i primi a squagliarsela. Il comandante Schettino segue una tradizione.
Da un governo di “tecnici” ci si sarebbe aspettati, tra le altre misure assunte (alcune giuste) un lavoro serio di accertamento della spesa pubblica, a cominciare dagli emolumenti in riferimento alle analoghe qualifiche degli altri paese europei. Niente, Monti sa bene dove sta il suo consenso elettorale. Tecnico si, fesso no. Del resto questi tecnici hanno la loro carta d’identità economico-sociale e dunque basta leggere i curriculum.
In un Paese dove non si produce più nulla, perché tutto viene dall’estero, dove la cultura d'impresa è stata denigrata in cambio di una visione della vita che vede prevalere il cosiddetto lavoro intellettuale, dove ancora oggi chi produce, organizza, distribuisce, viene visto come il nemico del popolo, c’è poco da fare.
In un paese dove chi si lamenta viene considerato un mafioso o un pecoraio, dove conta solo se hai una cattedra o una scrivania, dove contano i figli(con cattedra) di Martone (che gode della “sfiga" degli altri:quelli senza cattedra) e i Celentano che distribuiscono le ricchezze della Rai (come fosse una befana pubblica) quel paese è destinato a morire, per povertà e per inettitudine.
Un paese dove il Direttore generale delle entrate guadagna (solo per questa carica) 476 mila euro, direbbe Luttwak, va diritto alla bancarotta, per colpa sua e per colpa degli evasori: hanno pari colpa, senza fare distinzioni.