mercoledì 31 agosto 2011

Il gioco del Tripolino



Devo confessare che a me il Tremonti che parla da libero cittadino, o da intellettuale, piace. Ogni qual volta ha parlato o scritto in questi ultimi anni circa la natura della crisi economica e finanziaria mi sembra che abbia mostrato capacità di comprensione. Nel frattempo, tanto per riparare subito qualche rimprovero, gli altri esponenti politici parlavano di sciocchezze varie e fino a giugno di quest’orribile anno evitavano di trattare argomenti connessi al caos economico internazionale.
Detto questo, non capisco perché rimane inchiodato alla poltrona di ministro dell’Economia in presenza di un dibattito agostano che ha rasentato la sceneggiata e l’avanspettacolo.
Se molti, fino al deflagrare della crisi, avevano riconosciuto capacità dello stesso a mantenere in piedi la baracca e avevano pure avallato il primo provvedimento per affrontare la crisi (quello di luglio) non si comprende perché non abbia colto l’occasione di dimettersi di fronte alle giravolte degli alleati di governo, che anche in questi giorni ed ore, mostrano veramente l’incapacità di essere seri almeno in circostanze tragiche come quelle del presente economico.
Tutto è criticabile, ovviamente, e pure la contromanovra proposta da Bersani si è presa una grave insufficienza da parte di commentatori economici (tra gli altri, Tito Boeri su La Repubblica) ma almeno ci aveva provato Tremonti a proporre una qualche manovra credibile per i famigerati Mercati col decreto di inizio agosto…Ma a questo punto cosa ne rimane?
Senza entrare nei dettagli ,quello che sconvolge è lo scatenarsi delle categorie che si rimpallano il dovere di sopportare gli ulteriori sacrifici imposti dalla crisi. Medici e magistrati in prima linea a protestare, contributi pensionistici a questo e quel titolo che un giorno vengono cancellati e il giorno dopo vengono resuscitati, contributi straordinari che vengono ritagliati a misura di quel reddito o di quell’altro salvo riconvertirli in ulteriori misure per combattere l’evasione o in patrimoniali che compaiono e scompaiono da un giorno all’altro. Luigi Einaudi, economista e Presidente della Repubblica diceva che in materia economica si governa col decreto legge: immediatezza e immodificabilità delle decisioni (sapendo di rischiare la poltrona). Oggi invece di Einaudi abbiamo… Calderoli!!
Molto ci sarebbe da dire sul merito di queste traballanti scelte e sulle proteste di questa e di quella categoria, ma contano soprattutto qualche interrogativo e qualche riferimento. Il riferimento è alle parole più volte dette dal prof. Giuseppe De Rita che parla di “mucillagine sociale” a proposito dell’Italia: una "poltiglia", una società composta da tanti coriandoli che stanno l'uno accanto all'altro, ma non stanno insieme. Ecco, questo è quello che rimane di un Paese che non avendo più alcun potere di decidere sulle scelte fondamentali (avendole delegati ad altri) è ridotto allo scannatoio quotidiano, come per i topi in trappola.
L’interrogativo mi riporta all’inizio: ma chi glie lo fa fare a Tremonti di servire un capo del governo in evidente stato di insanità che si manifesta col voler essere piacione a tutti i costi? Perché servire un Bossi che con Calderoli ed altri non riescono nemmeno più a rappresentare quel ceto medio produttivo al quale si rifanno fin dalla fondazione della Lega?
E che altro dovremmo sperare per non finire con due piedi in Argentina o in Grecia?
Ma qui qualcuno ricorda ogni tanto che in Inghilterra e altrove hanno cominciato a tagliare gli stipendi pubblici e a licenziare? Pensano di fare fessi i banchieri europei con il gioco del tripolino tra le categorie, a colpi di contributi straordinari e di blocchi temporanei di aumenti contrattuali? Per di più con scene che nemmeno al Bagaglino di Pippo Franco si erano mai viste?
Una classe politica di irresponsabili per un Paese irriformabile. Altro che Scilipoti!

lunedì 15 agosto 2011

Lacrime e sangue inutili



Basterà? La seconda batosta finanziaria di tagli e tasse approntata in poche settimane dal Governo basterà a calmare le fauci del mostro finanziario? Si ha timore di no. Perché dovrebbe? L’ampio dibattito che si è aperto qui in Italia dimostra che si capisce poco degli effetti generali, tutti i commentatori sono protesi a imprecare sui nuovi obblighi, sulle ulteriori gabelle e restrizioni. Manca un disegno generale e dunque ogni parte difende il proprio. Il pubblico impiego lamenta l’ulteriore blocco degli aumenti contrattuali e la tredicesima “per merito”, i titolari di redditi alti lamentano il contributo straordinario, il lavoro autonomo l’aumento dell’aliquota (temporaneo pure questo o permanente?). Insomma queste poche situazioni danno il segno del generale vociare che si è ,come sempre, alzato e che dimostra ancora una volta che regna il caos nella disgregata società attuale.
Non basteranno le due manovre finanziarie, perché ancora una volta il sistema Italia (inutile fare distinzioni, ormai si capito bene) non vuole affrontare i nodi fondamentali dell’economia.
Alcuni mesi fa, in un trasmissione, il cinico, ma intelligente, Edward Luttwack riportava la sensazione di meraviglia che hanno ambasciatori e alti funzionari statali di paesi esteri (compreso gli Usa) rispetto ai colleghi italiani: parlava di magistrati, prefetti, ambasciatori, per le più alte retribuzioni dei nostri connazionali. Qui è una delle chiavi per capire che le furbate all’italiana non durano più di qualche settimana. Anche la BCE (con la Banca d’Italia) ha chiesto al’Italia di mettere mano ad una riduzione degli stipendi e dei salari. E noi? Prima si vara una manovra che rappresenta una cambiale da pagare ad un anno e poi una veloce correzione di rotta intrisa di contributi straordinari, tasse temporanee e precarie riduzioni di spese per il sistema pubblico.La logica è sempre quella: addà passà a nuttata e non si vuol capire che il sistema non regge.
Il decreto del Governo,tanto per essere all’altezza della situazione, ha di suo ancor di più inasprito e complicato le condizioni per svolgere attività produttive in Italia. E qui tocchiamo il cuore del problema, senza ripetere ragionamenti e dati previsionali a tutti noti. Questo Paese si avvia alla morte per inattività e questo è il motivo per cui da qui a qualche settimana il fuoco della speculazione finanziaria si accenderà ancora.
Questo Paese per cambiare marcia dovrebbe avviare un programma economico ottenendo le necessarie deroghe ai vincoli che ormai da decenni fanno si che non si possa più svolgere attività di produzione.
Solo in presenza di un programma e di una volontà precisa in tal senso è possibile invertire la rotta, insieme al riequilibrio della spesa dell’apparato pubblico, che è cresciuta sproporzionatamente negli ultimi decenni. Solo in presenza di tale obiettivo, riduzioni di diritti, contributi straordinari, patrimoniali, possono avere qualche utilità, altrimenti saranno sacrifici inutili.
La sciocca adesione di tutti i nostri governanti a qualsiasi idea proveniente da altrove, dimostra ancora una volta il limite della vera capacità di governo tenendo conto dell’interesse nazionale (perchè bisogna pure capire a favore di chi si governa). Il vincolo del pareggio di bilancio da indicare nella Costituzione è l’ulteriore laccio che la potente Germania impone (ufficialmente suggerisce) all’Italia. Il principio, naturalmente giusto, è solo un modo per ridurre la capacità piena che un Paese deve avere per espandere la propria economia. Se questo vincolo è imposto dal potente di turno (in Europa è la Germania) si tratta solo di un ulteriore catenaccio legato al piede di un concorrente per favorire la propria economia.
In mancanza di una prospettiva di rinascita economica non vi può essere speranza per milioni di cittadini e nel tempo avremo una economia sempre più depressa e la disperazione che si tradurrà in insorgenza.

mercoledì 3 agosto 2011

RAI: "Il lavoro che produce"


La notizia strana è che la provincia di Torino ha bocciato la variante in favore dell’insediamento di Ikea, come proposta dal Comune di La Loggia. Non che gli insediamenti produttivi non siano di per se buoni o che sia cattiva un’iniziativa di Ikea. Il fatto è che ce ne sono troppi e che per una volta chi doveva decidere (la provincia) ha detto no al solito intervento che rapina territorio (si trattava di mutare terreno agricolo in industriale) e che sconvolge sotto altri aspetti l’interesse a lunga scadenza dei residenti locali e non solo di loro.
Per gli amanti del progresso a qualunque costo si può sottolineare che episodi nello stesso senso ovvero di qualche rifiuto a questo modo invasivo di governare il territorio si verificano anche negli Stati uniti, in Inghilterra, in Francia…
Sappiamo ormai, per esperienza comune, che le difese rispetto alle illimitate voglie del capitalismo selvaggio si sono significativamente abbassate negli ultimi decenni con grande stupido orgoglio di tanti riformatori, di ogni colore, anche in Italia. Legislazioni di tutela del territorio, del paesaggio, di economie, di tradizioni, sono state messe da parte con metodi sbrigativi per incoraggiare gli “investimenti” con dispendi di risorse ed oggi siamo al punto di renderci conto del grande disastro che si rinviene in ogni luogo di questo Paese. Il presidente provinciale della Coldiretti di Torino ha affermato: «in questi anni sono stati consumati oltre 7 mila ettari di terreni fertili, ma il 40% dei capannoni è rimasto vuoto». Quale altra descrizione per definire il quadro della situazione?
Potremmo ricordare il disastro che provoca l’abbandono della agricoltura per la salvaguardia idrogeologica delle medie ed alte coline in relazione alle frane che periodicamente provocano danni e morte in tutta Italia.
Sembrano discorsi strani rispetto a quello che la cultura diffusa offre ai nostri giorni, tutta tesa con i mezzi di comunicazione, ad esaltare i settori, cosiddetti, terziari, rispetto all’agricoltura e alla stessa attività produttiva di trasformazione. Tant’è, questo Paese, oltre a perdere il paesaggio, l’ambiente, la qualità dei prodotti, si trova oggi in una crisi economica drammatica perché nella scala dei valori abbiamo infoltito, oltre ragione, uffici e scrivanie con stipendi da manager per i loro occupanti, lasciando in secondo piano i fondamentali dell’economia.
In questo Paese nemmeno la Rai riesce a dare la giusta importanza a chi lavora, produce, coltiva, trasforma e magari esporta, tutta presa (la Rai) a intrattenere platee senza identità e dedite agli sfizi individuali e collettivi.
Le buone economie non si reggono sulle migliaia di “manager” a centomila euro al mese dell’asl e della regione. Le buone economie ,che pure hanno bisogno di amministrazione pubblica, si reggono prima di tutto col lavoro quotidiano e sugli investimenti di chi ogni giorno trasforma, produce, realizza, coltiva, costruisce, esporta...
Bisognerebbe capire perché e come è avvenuto tutto questo: perché si sono abbandonate le campagne, perché si è pensato che tutto potesse venire dall’estero, perché si è dato fondo alla cementificazione del territorio. Ma pure la Rai si tiene alla larga, meglio il solito “dibbattito” accontenta i tifosi e non dà pensieri.