sabato 26 marzo 2011

Succede in Trentino, pardon...nel Sud Tirolo.



Dopo gli scontri tra i dimostranti e la polizia, lo Stato italiano ha mandato in strada l’esercito. La situazione era divenuta insostenibile dopo che da parte dei dimostranti vi era stata nei giorni scorsi il lancio di granate e colpi di mitra. A malincuore, alla fine, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è stato costretto ad approvare la Risoluzione 1973bis: sono stati giorni d’attesa e di batticuori, ma la decisione era oramai nell’aria,inevitabile.
Fino all’ultimo, l’ambasciatore italiano all’ONU ha sperato in un veto da parte degli Stati Uniti, ma le ultime notizie sull’ammontare del debito americano hanno condotto all’astensione il rappresentante statunitense, che ha lasciato il Palazzo di Vetro senza rilasciare dichiarazioni. La risoluzione ha visto dunque 13 voti favorevoli, 1 astenuto ed un voto contrario. Da qui, l’intervento dell’ONU.
Nella risoluzione, sono circostanziate le ragioni della decisione e le precedenti violazioni dei diritti umani: si ricorda la brutale repressione del dissenso interno (Genova e Caserma Diaz) con l’aggravante della giustizia mai applicata nei confronti dei colpevoli, per quella che viene definita dall’ONU “macelleria di stampo messicano”.
La risoluzione è stata fermamente richiesta da parte dell’Austria che ha invocato tutela per gli “italiani” di lingua tedesca.
Da Bolzano a Trento i raid aerei applicano il mandato dell’ONU. La Risoluzione 1973bis è molto flessibile ed il comando delle operazioni è stato concordato nell’isola di Santa Lucia, nei Caraibi. Gli aerei della coalizione, che usano le basi francesi, tunisine, libiche e dell’ex Jugoslavia, sono forniti da 29 Nazioni, dall’Algeria alla lontana Nuova Zelanda. La Francia – obtorto collo – è stata costretta ad aprire le sue basi agli aerei della coalizione. Visto il rapporto storico di “cuginanza” i suoi aerei accecano i radar ma non bombardano.
Le operazioni, che stanno coinvolgendo a parti contrapposte tutto il Norditalia, si protraggono da alcune settimane. I leader internazionali si richiamano alla Carta dell'Onu per giustificare l'intervento armato a tutela di una minoranza.
Succede nel Trentino Alto Adige, ovvero il Sud Tirolo come lo chiamano gli abitanti di lingua tedesca.

mercoledì 23 marzo 2011

Take over!



Il capitalismo famelico e senza limiti prosegue con le operazioni travestite come missioni umanitarie.
Dovrebbe essere ormai comprensibile a tutti, come già è comprensibile a parecchi, che le guerre vengono sempre più avviate con pretesti chiaramente costruiti ad arte.
Non è una novità, tante volte nel passato sono stati colti dei fatti come pretesti per scatenare aggressioni, l’espressione “casus belli” è antica e dice tutto al riguardo.
Quello che emerge da qualche anno è la volontà chiara di aggredire risorse necessarie per lo sviluppo dei popoli ricchi, proprio nel momento in cui molti iniziano a metterne in discussione principi, prassi e valori. Dal disastro giapponese, alla crisi economica che prende l’Occidente, appare chiaro che il “progresso” che conosciamo ha molti rischi e molte ingiustizie.
Dalla ex Jugoslavia, all’Iraq ed oggi la Libia, l’emergenza umanitaria è stato il mantra per giustificare operazioni aggressive tese ad apprendere le residue risorse energetiche tradizionali o ad aprire nuovi mercati o a creare nuove zone di influenza politico-economica. Per ottenere ciò non ci si fa scrupolo di dividere nazioni e ridisegnare confini, anche dove si era riusciti a creare le condizioni di una pacifica convivenza tra popolazioni con diversità linguistiche o religiose. Spesso queste operazioni aggressive vengono disegnate con la logica propria delle economie di rapina che movimentano lo scenario dei mercati. Take over, appunto è la tecnica con la quale si può conquistare il controllo di una società quotata attraverso l’acquisto di una minoranza qualificata.
E’ successo spesso che minoranze organizzate, ma comunque minoranze, siano state foraggiate con strumenti economici, comunicativi ed armi, per provocare sommovimenti capaci di richiamare l’attenzione dei Grandi della terra. Segue in questi casi la costruzione, nelle sedi internazionali, di strumenti giuridici per giustificare un intervento armato nello stato in questione.
L’invocazione all’art. 11 della Costituzione, qui in Italia, per giustificare “l’intervento umanitario” è inopportuna nemmeno se si fa ricorso al suo 2° comma perché le limitazioni alla sua sovranità(dell’Italia) in favore di organizzazioni sovranazionali sono chiaramente finalizzate ad assicurare la pace “fra le nazioni” e dunque non può valere per intervenire in questioni interne agli stati. Né tale intervento è giustificato dalla carta dell’Onu che prevede eguali principi.
L’aggressione ai paesi per vicende interne oggi è giustificato sulla base di equivoche delibere del Consiglio di sicurezza dell’Onu assunte nel 2006, ovvero quando ci si accorgeva della necessità di dotarsi di un supporto giuridico per giustificare operazioni aggressive già compiute.
Il Consiglio ovviamente non puo’ sovvertire principi della Carta dell’Onu, la quale chiaramente afferma con il comma 7 dell'art. 2 : «nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato» e le misure coercitive, pur previste, possono essere assunte solo in presenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione. Risulta dunque che c’è sul punto una chiara consonanza tra Costituzione Italiana e Carta dell’Onu, le quali favoriscono le armi della diplomazia.
Insomma i Padri costituenti sono salvi, sono i loro attuali epigoni che si travestono illegittimamente da sceriffi, provocando, per altre ragioni, risate internazionali.

sabato 19 marzo 2011

Alla Guerra!



Da dove cominciare e cosa pensare degli ultimi avvenimenti che la realtà presenta?
Appena festeggiato il 150° dell’unità d’Italia e gli occhi si volgono versa il Nordafrica, mentre in Giappone la centrale rilascia inesorabilmente radioattività. Troppe cose in pochi giorni e tanti seduti in poltrona a commentare, a valutare l’ultima dichiarazione di questi e di quelli. Vale la pena accodarsi, non avendo obblighi, né professionali, né accademici, per farlo? Troppi ci provano e troppi rincorrono l’ultima notizia, caldeggiando questa o quella soluzione, sbeffeggiando o sostenendo questo o quell’altro esponente politico.
Sembra un "Bagaglino" perenne. La realtà dimostra sempre più quello che molti indizi facevano trasparire già da diverso tempo ovvero l’assoluta inutilità ed insignificanza del paese Italia nel contesto internazionale, nemmeno nell’area di maggiore rilevanza per gli interessi nazionali, il Mediterraneo.
In questo Paese, in questi giorni, si fa tutti a gara tra le diverse aree politiche per adeguarsi a scelte che hanno già assunto altrove altri poteri ed altri governi. Non vi sono distinzioni sulla volontà univoca di seguire l’ulteriore avventura militare tesa a smembrare stati, a ridisegnare confini e a predare risorse. Perché di questo si tratta. Le fameliche volontà di dominio di poteri e governi non conoscono più limiti, confini, sovranità. Basta una delibera dell’Onu, giusto per dare un po di legittimazione all’operazione, e tutti proni ad eseguire scelte che nemmeno sono state frutto di adeguate discussioni.
Non mi pare che sulla vicenda della Libia vi sia stato un serio tentativo di mediazione che costituisce una necessaria premessa per poter poi passare a mezzi coercitivi. L’intervento in Libia non ha avuto l’appoggio di stati importanti come la Russia, la Cina, il Brasile, l’India e la Germania… L’Italia invece si, ha appoggiato l’intervento nonostante i freschi rapporti economici che sono stati avallati da tutti i governi degli ultimi anni, di destra o di sinistra e nonostante i rapporti storici con quel paese avrebbero dovuto legittimarla per un tentativo di pacificazione tra le parti.
E cosa dovremmo pensare di questi fatti? senza culture politiche adeguate che ci permettano di cogliere le peculiarità, i dettagli degli avvenimenti in corso. Sempre più il principio posto dall’art. 11 della Costituzione italiana viene disatteso in favore di politiche servili verso disegni strategici altrui e che vengono avallati solo ai fini di un legittimazione a governare il Paese. Perché di questo si tratta, solo di questo. Cose povere.
E’ da un decennio e più che l’Italia copia il Cavour che mandò i soldati in Crimea per ingraziarsi le grandi potenze, ma allora si trattava di realizzare l’unità della nazione. Qui si mandano soldati all’avventura solo per conquistare il governo del Paese. Da oggi le analogie si arricchiscono: per mantenersi al governo del Paese o per conquistarlo si stracciano trattati bilaterali (o alleanze)appena firmati…anche queste, esperienze già vissute.
Nelle celebrazioni di questi giorni un certo scetticismo mostrato da qualcuno non era mal posto. E’ proprio vero, quando in Italia si dà fiato alla trombe della retorica bisogna stare in guardia, la storia lo insegna.

mercoledì 16 marzo 2011

Per il 100° dell'Unità d'Italia



" Tutti i parenti miei stanno in America e io pure ci andrò, appena finita la scuola.
Il mio paese, qua in Italia, è solo provvisorio: il vero Pontelandolfo sta oltre Oceano, nel New Jersey degli Stati Uniti.
Mio zio ha fatto la guerra nel Pacifico nei marines e un altro zio sbarcò a Salerno e venne pure a trovarci portando ogni ben di Dio.
Qua tutti vanno in America, per tradizione, e mi hanno raccontato i nonni che una volta Pontelandolfo fu distrutto e messo a fuco perchè i paesani erano briganti. Da quella volta tutti furono emigranti.
Molti fecero fortuna come cittadini americani, però non hanno mai dimenticato l'origine e il paese. Per noi New York è più vicino di Milano e sappiamo l'inglese meglio dell'italiano.
A scuola ci hanno detto che cent'anni son passati dall'Unità d'Italia. Cent'anni sono tanti e noi non ce ne siamo accorti."

lunedì 14 marzo 2011

Dare lo scettro al cittadino (R.Ruffilli)

In pochi giorni si è assistito ad eventi che mostrano come le cose della politica cambiano in una diffusa inconsapevolezza. A Napoli sono state ufficializzate (o quasi) le candidature per i principali schieramenti politici che si contenderanno, tra pochi mesi, il Comune,mentre a Roma si è svolta una manifestazione a difesa della Costituzione.
Per le comunali di Napoli risulta evidente il fallimento della concezione del Partito democratico come partito degli amministratori, così come alla nascita era stato auspicato soprattutto da Romano Prodi e ripetuto da tanti leader.
Il partito degli amministratori significa l’abbandono del concetto di partito come storicamente era concepito in Italia dalla fine dell’ottocento: una comunità politica filtrata attraverso le esperienze politico amministrative compiute ai diversi livelli di responsabilità, ma con una egemonia del vertice di partito. Al riguardo basti considerare che nella “I Repubblica” non era tanto facile per un amministratore locale proiettarsi ai livelli più alti della politica, nel partito e nelle istituzioni, per la evidente ritrosia mostrata dai vertici per chi aveva amministrato gli enti locali. L’esperienza del partito degli amministratori non poteva non avere una battuta d’arresto rispetto a quello che emerge dalla cronaca locale ove gli enti pubblici, svincolati ormai da ogni significativo controllo esterno, sono diventati in pratica trampolini di lancio per superiori carriere, mediante un uso clientelare delle funzioni svolte. Clientela e spesa pubblica sono diventati dunque gli ingredienti per salti da un livello ad un altro delle istituzioni pubbliche.
Consapevolmente o non, la partita che si è giocata a Napoli nell’ambito del Pd mostra questa traccia di interpretazione. La calata dall’alto di un Ranieri, uomo di lunga esperienza politica di partito e nel Parlamento nazionale, si è scontrata con una candidatura, quella di Cozzolino, che all’ombra di Bassolino si è caratterizzata appunto per le enormi possibilità di spesa e di simpatie elettorali dovute al lungo periodo di governo al Comune e in Regione Campania. Il risultato è che il partito a Roma ha deciso per un prefetto, per chiudere la partita. Il Prefetto Morcone ,tanto per trovare conferme, se la vedrà con un ex magistrato e con un rettore di università. Proposte di candidature queste che dimostrano quanto sia profondo, almeno per le grandi città, la diffidenza per i livelli locali politico-amministrativi.
A Roma tanta gente è scesa in Piazza per difendere la Costituzione. Ottimo proposito, condivisibile. Appare però che non molti si sono resi conto che la nostra Costituzione per la gran parte risulta oggi un bel quadro da appendere al muro. Discorso lungo, questo, ma basti considerare come i tanti aspetti della vita economica, sociale, sono oggi determinati da scelte assunte in sede europea e nemmeno sulla base di pronunciamenti del Parlamento, eletto ogni 5 anni, ma da strutture, quali la Commissione ed il Consiglio, che non rispondono direttamente ai cittadini dell’Unione. Tanto si voleva questa “Costituzione europea” che sono stati necessari due tentativi, con diversi testi e perchè l’esito di referendum confermativi espressi in alcune nazioni (Francia- Olanda) aveva dato esito negativo sul primo testo e per qualcuno per il secondo testo si è imposto un doppio referendum(Irlanda).
In Italia la “Costituzione europea” è stata approvata in Parlamento negli ultimi giorni di luglio del 2008, all’unanimità dei parlamentari e senza consultare i cittadini. Come volevasi dimostrare siamo i primi della classe in Europa e molti cittadini pensano che il loro destino è governato ancora dalla Costituzione italiana del ’48.
Come dire: due casi che dimostrano quanto sia inconsistente il protagonismo mostrato in piazza e nei partiti da tante persone di buona volontà.
Roberto Ruffilli auspicava di assegnare lo scettro (del potere politico) al cittadino…evidentemente qualcosa è andato storto in questi anni.

giovedì 10 marzo 2011

Senza limiti



Debordanti, insaziabili, così appaiono i poteri che ci circondano e tale connotazione non riguarda solo entità collettive o corpi sociali di varia natura e composizione. Riguarda molte persone, individui con nomi e cognomi.
E’ facile per molti mettere alla berlina il cavaliere nazionale che, incurante, degli incarichi pubblici e delle fortune private, dei figli e nipoti, se la gode come e quanto vuole. E’ possibile ricordare il vecchio adagio per cui i popoli hanno i governanti che si meritano? Non per cadere nella solita guerricciola all’italiana, ma il caso Marrazzo ha preceduto nelle cronache le vicende di Arcore. Chi vuole distinguere tra i due casi faccia pure, a me non interessa tanto.
Smodato ed insaziabile appare il potere economico delle grandi imprese internazionali che impongono salari da fame mentre gli ingaggi dei loro dirigenti raggiungono livelli da nababbi. E’ stato ricordato (solo da poco, ma si potevano scorgere queste tendenze già a partire da un decennio fa) che il Valletta amministratore della Fiat negli anni ’50 incassava 20 volte lo stipendio di un suo operaio, oggi Marchionne ne incassa 400 volte tanto. Non basta. Sia il Marchionne, che le grandi imprese di servizi, che interi stati ( Wisconsin, Utah negli U.S.A) con decisione sinergica, tra pubblico e privato, impongono ormai contratti individuali: per il rapporto di lavoro,per i contratti di forniture di servizi. Risulta chiaro l’obiettivo: come fai a difenderti da solo contro una grande impresa, un governo? Impossibile.
Siamo all’esaltazione senza limiti della ideologia liberista, ove conta l’individuo solo e senza o scarsa tutela.
Appare smodato lo slancio con il quale anche in questi giorni si hanno notizie di assalti alla diligenza pubblica ovvero alle casse foraggiate da un fisco sempre più esoso, da parte di schiere organizzate per occupare gli ultimi posti nelle municipalizzate, nelle spa miste, ove il capitale è pubblico ma i favori e le prebende sono privati. Ultima risorsa per aggirare i limiti che oggi scontano gli enti pubblici in presenza della crisi economica.
Senza limiti e debordante è la voglia di bombardare e di occupare, di sfasciare, di dividere e di comporre che caratterizza questi anni. Sembrava tutto messo apposto dopo le guerre mondiali, che avevano martoriato l’Europa e dopo l’abbandono delle colonie, che già si è rimesso in moto il domino geopolitico, quel grande gioco di cui si parlava al tempo degli imperi britannico, russo e ottomano.
Alla ricerca di nuovi mercati e di nuove fonti di energia si scompongono stati, si cancellano confini e si disegnano di nuovi, magari con la giustificazione dell’intervento umanitario, di accuse non provate. A proposito, in questi giorni il magnifico Tony Blair è processato a Londra perche il suo intervento in Iraq non trovava ragioni valide, anzi era basato su informazioni falsamente costruite.
Il dramma in tutto ciò è che maree di persone assistono e tifano, magari appoggiano e giustificano, magari si dividono ( per noi italiani è facile siamo abituati: Mazzola-Rivera, Lollo-Sofia, Bartali-Coppi) senza rendersi conto di partecipare ad una fase della storia in cui non sono i popoli ad essere protagonisti ma solo predoni senza scrupoli, bande che non hanno limiti.
Sono gli effetti della “Distruzione creatrice” , creerà il Mondo Nuovo…speriamo bene.

sabato 5 marzo 2011

La rivolta del pane



Le analisi di esperti internazionali di agricoltura ed economia risultano più fondate per spiegare la situazione che si è creata in Nordafrica e nel Medioriente.
Le ribellioni, le sollevazioni di ampi strati delle popolazioni, sono da giustificarsi in ragione dell’aumento significativo dei generi alimentari.
Come da noi nel 1899 a Milano i cannoni spararono perché la gente si ribellava all’aumento del costo del pane e non perché era stato appena scoperto il telegrafo senza fili.
Alle società opulenti dell’occidente (o meglio agli strati acculturati e garantiti) sembra facile giustificare ciò che avviene spiegando che il tutto è dovuto alla diffusione di mezzi tecnologici che permettono una più vasta comunicazione in direzione della conquista di una democrazia formale. In realtà il mondo già aveva visto la diffusione della stampa tipografica, dei giornali, della radio e della televisione, il che non significa che di per sé questi mezzi siano stati le solo ed esclusive cause dei moti, delle sollevazioni verificatisi nella storia. Sono e restano mezzi di comunicazione. In Nordafrica è stato necessario il suicidio di un giovane tunisino ad accendere la miccia della rivolta e le cause sono nell’impoverimento di ampi strati della popolazione, oggi che in quei paesi gli effetti del Mercato e della Globalizzazione hanno fatto sì che l’agricoltura sia sempre più abbandonata in favore delle attività connesse all’estrazione del petrolio.
Sono gli effetti perversi della cultura dominante che sconvolgono popoli ed economie, tradizioni, mestieri e dunque mettono a repentaglio la convivenza civile appena il sistema affronta una curva o un ostacolo. Il sistema non è perfetto, dunque, e non appaiono significative le analisi che i ceti dirigenti in Italia danno della situazione attuale. Mentre gli americani(che non hanno nemmeno un’ambasciata, né rapporti storici con la Libia) si avvicinano con le loro navi alle coste del paese in rivolta, in Italia si discute delle magnifiche possibilità che i computer ed altri mezzi ci danno per giocare alla rivolta in casa nostra. Non basterà questo a quanto pare, né la rivolta potrà farla chi immagina che le sollevazioni possano essere fatte sulla base di slogan e parole d’ordine che lambiscono solo di striscia le masse dei lavoratori, dei disoccupati e dei ceti produttivi, precari e non.
In Africa e nel Medioriente i popoli non si sollevano per conquistare le libertà di cui noi godiamo e di cui abusiamo, si sollevano per garantirsi bisogni primari, in termini di democrazia politica e, soprattutto, in termini di democrazia sostanziale.
Se il vento della protesta raggiungerà, come si pensa, quest’altra parte del Mediterraneo troverà un ceto politico che tra affittopoli e svendopoli, tra tangenti legalizzate e battaglie per i “diritti individuali”, è ormai del tutto incapace di leggere la realtà che si è determinata in questi nostri tempi, avendo delegato ad altri soggetti, sul piano internazionale, la soluzione dei problemi e ridottasi a qualcosa che nemmeno l’avanspettacolo a teatro aveva saputo rappresentare.
Come ai tempi della decadenza di Roma, governata da un ceto politico screditato e gaudente, forse bisogna sperare nei “barbari” per rinascere.
P.s.:dimostrazioni sono in corso, come si sà, anche in Grecia, nei Balcani, in Spagna.......ed anche negli U.S.A.

martedì 1 marzo 2011

Li chiamarono...briganti



Nessuno ci capisce niente e comunque davvero è poco chiaro quello che succede nel Nordafrica. Quali le cause di quelle rivolte? La vita che costa sempre di più per masse già abituate alla povertà e che oggi si ribellano alla mancanza del necessario? Un’alta percentuale di giovani che si ritrovano senza lavoro, seppure acculturati e capaci di collegarsi con l’occidente opulento?
C’è chi parla di cambiamenti indotti perché quelle nazioni, anche loro, stanno diventando appetibili come nuovi mercati economici e finanziari. Basta osservare al riguardo le etichette dei prodotti presenti nei supermercati qui da noi per capire che l’esternalizzazione delle fabbriche non ha riguardato solo l’est europeo, ci sono prodotti con marche note (anche italiane) che provengono ormai dalla Tunisia, dal Marocco, dall’Algeria. Se lo sviluppo economico indotto con rapidità dalla “globalizzazione” riguarda oggi anche quei paesi, non possiamo meravigliarci che le dinamiche già conosciute non vengano a realizzarsi anche da loro, così come già avvenuto negli ultimi decenni nell’est europeo.
Se qualcuno immagina che anche in questi casi la forza dell’economia e della finanza ispira, come in altre occasioni della storia, gli sconvolgimenti sociali e istituzionali, c’è da dire che osserviamo però qualche novità.
Appare significativo il fatto che sempre più queste profonde trasformazioni nascono e sono attuate non sempre, come ieri, per effetto di interventi militari, magari giustificati come “interventi umanitari”. Oggi la tecnica è diversa, si basa su un lavorio non appariscente che induce strati della popolazione a ribellarsi con sapiente determinazione, al momento giusto, con modalità tali da determinare subito un isolamento degli stati protagonisti dalla comunità internazionale.
Che i popoli siano effettivamente beneficiari di questi processi è tutto da vedere.
Senza fare retorica con la testa girata all’indietro, possiamo qui nel nostro Paese tenere presente quanto è costato il processo di unificazione di cui si celebra l’anniversario in questi giorni. La retorica ufficiale non tiene conto di tanti aspetti, crudeli, interessati, impopolari, che caratterizzarono quella storia. E non sempre è facile riannodare i fili della memoria di una vicenda che ha portato spossessamenti ingenti ed emigrazione di massa.
Anche su questo il politicamente corretto non consente una sincera ricostruzione ed un doveroso ricordo degli avvenimenti che furono, che riguardarono successive generazioni e che ancora influenzano l’attualità, la cronaca, la politica, il senso civico, il rapporto tra le diverse parti della Nazione.
Anche in questi giorni, come allora, si sente qualcuno dire che non basta cambiare padrone per acquistare la libertà.