mercoledì 23 febbraio 2011

Bordello Italia



Fa cadere le braccia l’informazione che si riceve in questi giorni da parte dei mezzi di informazione principali e dal passaparola, che anche per le piazze telematiche, tocca argomenti di attualità. Di molti altri argomenti il silenzio è la regola, conviene non parlarne.
La crisi dei paesi del Medi oriente, che pure ci riguarda da vicino, viene ancora una volta ad essere lo spartiacque tra berlusconiani ed antiberlusconiani, con corredo di barzellette e vignette che tanto divertono ma nulla aggiungono alla comprensione dei fatti. Tra una partita e l’altra l’italiano medio si sollazza a chi la spara più grossa sul cavaliere, fa moda.
Non si comprende bene la ragione delle rivolte in contemporanea nei paesi arabi contro i governi nazionali, le ragioni si sprecano, forse è la crisi che solleva più facilmente che da noi masse impoverite ancor di più dall’aumento dei prezzi di beni primari? Chissà, sarebbe bello discuterne, ma anche nei salotti televisivi si riduce il tutto a sbeffeggiare le villanie del leader libico e la sua sintonia col governante pro tempore italiano. Insomma risulta difficile abbandonare per qualche giorno il Bunga bunga per parlare di questioni internazionali, di economia, di assetti strategici che si modellano sotto i nostri occhi. Un’intera classe dirigente non ha capacità, volontà, di affrontare problemi e scenari che sicuramente ci riguardano e che con ogni probabilità renderanno ancor più difficile la situazione già compromessa di milioni di cittadini di questo Paese.
Si potrebbe parlare dell’allarme circa l’elevato livello di corruzione che è presente in Italia, allarme lanciato in questi giorni dalla Corte dei conti che ha parlato di “corruzione patologica? Nemmeno per sogno, ognuno fa finta che il fatto non lo riguarda e tutti sono più autonomisti e federalisti degli altri, non considerando che le più forti autonomie concesse negli ultimi tempi agli enti locali hanno prodotto quella corruzione e quel malcostume che oggi caratterizza fortemente le amministrazioni pubbliche.
Il Pio Albergo Trivulzio, a Milano, è di nuovo nella bufera, come all’alba di tangentopoli,perché luogo di smistamento di favori per i potenti di ogni colore a danno degli effettivi aventi diritto? No, non se ne parla, perché, come si dice in questi casi “ il migliore di noi ha la rogna addosso”, meglio lasciar perdere.
E dunque come potrebbe nascere una rivolta, una ribellione, un moto popolare, in questo Paese se i fondamenti dell’informazione, del dibattito e la realtà di interessi concreti porta lontano dalla capacità di concentrare l’attenzione sui veri mali che attanagliano la cittadinanza?
Mentre si discute di “chi lo fa meglio e di chi lo fa in maniera rozza”, perché in fondo questo è il vero argomento in discussione a proposito del cavaliere, il corpo del Paese và in malora, anzi in putrefazione, non essendo presenti capacità vere per un vero rivolgimento dello stato delle cose.
Se una crisi economica e una situazione di insurrezione generalizzata non sono capaci di andare oltre la discussione sul Bunga bunga, cos’altro ci vorrà per dare una scossa a questo Paese?
Qualche mese fa si rappresentava sulla stampa internazionale l’Italia con un Meridione distinto e denominato con la parola Bordello....và aggiornata quell’immagine, è l’intera nazione che può pregiarsi di quella parola. D’altronde anche da noi cresce il numero di quelli che riecheggiano la nota frase “per me questi e quelli pari sono” e si tiene lontano dalle urne e dal Bordello.

Il Brigante di Tacca del Lupo



Pietro Germi come Jhon Ford, i Piemontesi come le "giacche blu", i meridionali come gli indiani....il Sud come il West....W l'Italia

giovedì 17 febbraio 2011

La Repubblica delle Bollette



Non sarà come in Egitto e Tunisia o in altri paesi del “Terzo mondo”. In Italia la situazione è diversa, c’è la democrazia.
Abbiamo costruito negli anni un sistema equamente bilanciato con porte girevoli in cui buona parte della popolazione vive di garanzie e privilegi pubblici, una parte vive di sussidi e una parte, purtroppo minoritaria, che si arrangia. Il tutto è legato e si sostiene in forza della compassione internazionale circa lo stato delle cose in casa nostra e la impossibilità di dichiarare il fallimento del sistema Italia: troppo grosso il debito pubblico, ne pagherebbero le conseguenze i creditori e gli speculatori internazionali.
Come si vive in un sistema così fatto? Bisogna attrezzarsi per mettersi al riparo, essere in tutto o almeno in parte protetti dalla spesa pubblica. In fondo lo si nota sempre più spesso. Il lavoratore precario, il grand commis, l’amministratore pubblico ad alta indennità, si tengono per mano; guai a parlare male degli alti stipendi delle Caste perché il primo sostenitore e difensore di questi ultimi è il lavoratore socialmente utile o il bidello precario, perché avvertono di far parte dello stesso Sistema: se cadono i primi corrono rischi anche gli ultimi.
Non sarà dunque come in Egitto o Tunisia perché lì il rincaro dei prezzi dei beni alimentari ha portato alle estreme conseguenze di una rivolta, qui la spesa pubblica è “più democratica”, corre per mille rivoli e accontenta molti con troppo e molti altri con poco, in ogni caso li accontenta: è appunta democratica.
Basta passare per le strade di un paese e si leggono di continuo manifesti pubblici che avvertono delle provvidenze più diverse: “bonus” bebè, per l’elettricità, per il gas, per il latte, per il canone di locazione, corsi a pagamento per gli indultati (ex carcerati) finanziamenti per le veline, per il caseificio…e così via.
E chi dovrebbe protestare? Rimangono quelli che, restando fuori dal giro, si inventano giorno dopo giorno un lavoro e si costringono a tenere in piedi attività sempre più oggetto di vessazioni sotto forma di esazioni fiscali, di adeguamenti alle famigerate direttive europee, di bollette, di tributi inventati giorno per giorno solo per fare cassa e sostenere le Caste e non per altre ragioni.
Chi protesta di fronte ai continui rincari di tutto ciò che è obbligatorio o necessario? Il massimo che si riscontra è il lamento e la conseguente provvidenza in forma di riduzione parziale per le categorie a basso reddito, che porterà l’interessato a salire le scale dell’amministrazione per ottenere compassione.
Una società liberale, come era stato annunciato dopo tangentopoli, è quella in cui la maggior parte dei cittadini riesce a vivere di vita propria, rimanendo come residuale l’intervento del sistema pubblico per limitati casi di necessità.
Quello che si vede in giro nulla ha che fare con una società liberale, né con un sistema di mercato, rettamente inteso.
Una situazione di questo tipo, dove nessuno contesta la gestione generale della cosa pubblica, nemmeno di fronte alle continue e aumentate richieste di pagamento per servizi, tributi ed ogni altro onere necessario per vivere, dimostra che la furbizia o la rassegnazione hanno preso il posto di ogni altra manifestazione del concetto di cittadinanza.
Equamente divisi si continuerà con questo andazzo, augurandosi solo di essere dalla parte giusta per vincere alla roulette della Repubblica delle Bollette.
I furbi e i rassegnati non hanno la convenienza, né la forza, per fare rivolte. L’Egitto è lontano, qui c’è la democrazia.

lunedì 14 febbraio 2011

Giuliano Ferrara? No.



Giuliano Ferrara? No."Nicola Bombacci, romagnolo e socialista massimalista con Mussolini. Segretario del Partito socialista conobbe Lenin durante la Rivoluzione sovietica, fondò il Partito comunista a Livorno nel 1921. Allontanatosi dai comunisti aderì al fascismo solo alla fine, quando negli anni di Salò espresse la sua notevole capacità oratoria."

venerdì 11 febbraio 2011

Lazzari



Le celebrazioni sono anche un momento per ripensare i fatti e le scelte a suo tempo compiute. Quelle per l’Unità d’Italia (dal 1861) sollecitano un problema che anche in questi anni ed addirittura in questi giorni è sempre stato presente nella storia di questo Paese, tra i meno esplorati o forse sottovalutato, trattandosi di panni sporchi, da non mostrare nelle vetrine ufficiali.
Mai si è voluto fare i conti con gli esiti di quella che tecnicamente fu una guerra di occupazione, ovvero l’occupazione del meridione e del centro Italia, allora autonomi stati rispetto a quello del regno del Piemonte.
Occorre subito dire che l’anelito all’Unità d’Italia, dalle Alpi alla Sicilia, veniva da lontano, era diffuso, e dunque, sia pure avvenuta in maniera controversa, la sua realizzazione non può essere messa in discussione.
Nacque però immediatamente una “Questione meridionale”, dovuta all’approccio totalmente diverso rispetto al sistema precedente nell’organizzazione sociale ed economica delle nuove terre conquistate: la leva obbligatoria per famiglie di contadini, assolutamente difficile da sopportare; la privatizzazione delle terre demaniali, sulle quali i contadini trovavano sostentamento con una regolazione civica secolare; lo spossessamento di beni della Chiesa che pure davano conforto a strati poveri delle aree interne.
Mentre si compiva una feroce repressione, con un esercito di 120 mila soldati e con l’innesco di una vera e propria guerra civile, con migliaia e migliaia di arresti e fucilazioni, per sfuggire alle severe leggi di guerra e alle angherie della borghesia meridionale, delle imprese settentrionali (ed estere) che ammassavano le nuove ricchezze, milioni di meridionali facevano le valigie e partivano “per terre assai luntane” imbarcandosi sui “bastimenti”, come recita una famosa canzone napoletana.
Mai si è parlato approfonditamente di questi effetti e delle cause che le produssero. Molto si ritrova in racconti popolari, romanzi e soprattutto nelle canzoni d’epoca.
Non fu questo un fenomeno circoscritto ad anni particolari, ha avuto seguito nei decenni del ‘900 e con sé reca una ulteriore Questione che ancora si strascina in questo Paese e che riguarda la possibilità, necessità, l’opportunità, di rappresentanza politica dei cosiddetti “Lazzari”. La storiografia ufficiale, il cinema, la cultura diffusa hanno sempre rappresentato quei fenomeni, di ribellione e poi di abbandono, come espressione di un mondo arretrato, di cafoni, di “africani del Meridione”, di “Lazzari”, come si sentiva dire anche da esponenti autorevoli della cultura e della politica.
In Italia questo problema c’è e riemerge periodicamente ad ogni passaggio della vicenda sociale e politica.
Chi e come rappresentare ceti poveri economicamente o culturalmente è una questione che si trascina dalla fondazione dello stato italiano. Se caliamo un velo su quello che è stato il fascismo, possiamo dire che la Questione si è posta nel dopoguerra ed è stata affrontata con notevoli energie da parte dei partiti di massa, partiti sicuramente dotati, al di là di strategie ed obiettivi particolari, di culture sicuramente “popolari” e si può dire che al netto di ogni nefandezza che reca con sé l’azione politica di ogni tempo e colore, lo sforzo in quel senso è stato visibile.
Con lo sfascio della “I Repubblica” la Questione emerge in tutta la sua enorme evidenza perché non sembra che i partiti come oggi strutturati, in balia come sono di star del momento, possano essere luoghi di rappresentanza dei veri interessi dei ceti popolari di questo Paese.
Quando partiti ed organizzazioni politiche mutano la loro ragione sociale in funzione degli interessi della parte ricca, evoluta, di questo Paese e finiscono per essere il riferimento della “Upper class” raffinata, colta che ha a cuore i cosiddetti “diritti individuali” e che si pone l’obiettivo di sanzionare i “comportamenti”, vuol dire che poco spazio rimane, sostanzialmente, per i tanti che affrontano le difficoltà materiali della vita, di quelli che al contrario sono esposti alle incertezze del tempo, del Mercato e della Globalizzazione.
La storia si ripete, ancora oggi c’è chi non vuole dare rappresentanza ai ceti popolari: sono minoranze organizzate della cultura, dell’economia, dell’informazione, che si ergono come giudici supremi a dispetto delle regole della democrazia.
Il fascismo cadde per un voto contrario a Mussolini ad opera del Gran consiglio, qui gli intellettuali con la erre moscia vogliono il cambio di regime con la sommossa popolare, come fossimo in Egitto. Lì però la sommossa è nata per il rincaro del pane, qui dovrebbe nascere perché ai nostri raffinati intellettuali dispiacciono certi “comportamenti”.
Se la lettura dei fatti è esatta dispiace prendere atto che il Cavaliere riesce, ancora oggi e nonostante tutto, ad essere riferimento per gli interessi popolari diffusi, quegli interessi che le minoranze colte ed organizzate di questo Paese non vogliono che siano rappresentati.

domenica 6 febbraio 2011

Appena ieri



Se si vuole ripercorrere la storia della politica degli ultimi tempi non si può prescindere da luoghi e persone che hanno in modo deciso caratterizzato il corso degli avvenimenti. In questo revival Bologna ci sta tutta, con Prodi, Andreatta, l’associazione Il Mulino, la sinistra, i cattolici democratici, i socialisti e perché no la musica e poi scrittori, giornalisti, alla Edmondo Berselli, capace quest’ultimo di dare pennellate emozionali sulle radici e sulle speranze.
Erano gli anni in cui Forattini sintetizzava quella realtà disegnando Prodi in veste da parroco.
Poi è cambiato tutto, i banchieri hanno preso il posto delle cooperative e delle case del popolo, la finanza ha preso il sopravvento e tutti a dire che questo è il Progresso.
Ed oggi che le speranze si sono attenuate e tutto gira intorno ad happening emozionali che si svolgono tra Palasport, ville brianzole e sciarpe viola conviene riascoltare cose più semplici, con musica mai dimenticata e parole piene di speranza.

sabato 5 febbraio 2011

La Patrimoniale....e te pareva!



Ci risiamo.
Quando parla Giuliano Amato significa che le cose si fanno serie e serie le cose sono non esclusivamente per i successivi interventi di economisti ed esponenti politici, preoccupati questi ultimi di giocarsi l’argomento solo in vista di elezioni. Il fatto è serio perché i Grand commis (i veri padroni) dell’Europa hanno già deciso: occorre ridurre drasticamente l’indebitamento pubblico degli Stati. La soluzione segue la semplicità dei ragionieri europei(BCE): trasferire parte del debito statale ai propri cittadini. In Italia significa accollare ad ogni cittadino, secondo alcuni calcoli, 30 mila euro.
Semplice. Cosi ragionano le divinità della Nuova Religione Europea.
La patrimoniale in Italia si risolverebbe solo in un prelievo straordinario (così come già avvenne nel ’92 proprio con il Presidente del Consiglio Amato) e dopo pochi anni si ripresenterebbe di nuovo il problema.
Taglierebbe ogni possibilità di evoluzione sociale per milioni di giovani, per mancanza di risorse personali e familiari.
Non scalfirebbe più di tanto le storture di un sistema economico sociale che negli ultimi anni ha gettato sul lastrico milioni di imprese e di lavoratori con la scusa della Globalizzazione e del Mercato e che ha regalato la più grande crescita di redditi a qualifiche e categorie, non solo del privato, ma soprattutto del pubblico. Il Marchionne della Fiat che guadagna 400 volte il salario di un operaio, il Catricalà che cumula i 500 mila euro annui da presidente Antitrust e i 9 mila euro netti al mese come giudice del Consiglio di Stato, il Faziofabio a 2 milioni annui per fare pubblicità a libri e film…. Chiunque può continuare il discorso, gli esempi sono tanti.
Se proprio manovre economiche devono essere assunte si parta da una riparametrazione di stipendi pubblici alla luce delle diverse condizioni economiche ed anche in considerazione che in Italia il posto pubblico si conserva a vita (altro che Mercato).
Si continui con un effettivo controllo della spesa pubblica erogata dagli enti di ogni livello, dando una scossa ai giudici della Corte dei conti che in questo Paese dormono (guadagnando parecchio) e danno tanto spazio, a volte improduttivamente, ai pubblici ministeri.
Se manovre straordinarie si debbono assumere si riconsideri l’enorme, crescente, spesa militare connessa a scelte di politica estera non coerenti con l’art. 11 della Costituzione.
E se proprio si vuole fare un discorso serio per l’evasione fiscale, oltre ad incrementare i controlli sulla spesa (redditometro e “spesometro”) a carico di qualunque cittadino, si passi a far emergere una volta e per tutte i cumuli di soldi in contanti che persone di ogni categorie tengono nascosti in cassaforte, cassette di sicurezza o sotto il materasso (in Italia, soprattutto, ed anche all’estero).
Questi soldi (sicuramente tanti)per “riciclarsi in soldi puliti”, dovrebbero essere investiti in titoli dello Stato e vincolati (diciamo) per 10 anni, a tasso zero. Ne conseguirebbe un enorme sollievo per la finanza pubblica.
Chissà se Amato ed altri hanno mai pensato a soluzioni diverse da quelle solite e per le quali se vincono un’elezione ne perdono in seguito altre quattro.

martedì 1 febbraio 2011

La nostra "rivoluzione"



Se i tumulti, le rivolte del nord africa sono autentiche espressione di un malessere di ceti impoveriti dalla crisi internazionale e non rivolte di palazzo ben costruite, come pure si sussurra, presto si potranno vedere cose analoghe su quest’altra sponda del Mediterraneo. Vi sono già segnali che qualcosa di simile si voglia provocare in Italia o in altre nazioni europee. Il Belgio da molti mesi è senza governo, i paesi iberici sono nel pieno di una crisi finanziaria.
Da noi si corre un rischio, ovvero il paradosso di veder provocare sommosse non per la crisi economica che sempre più stritola il ceto produttivo e i lavoratori a basso prezzo e con diritti sempre più limitati, ma per conservare i vantaggi di ceti e protagonisti di questo Paese sempre più malato.
Appare evidente che segnali di raccolta in piazza e propositi di colpi di mano vengano dai ceti abbienti ed esponenti dello star system, conduttori televisivi ad alto ingaggio, finanzieri d’assalto, grand commis.
Che questi signori possano fare davvero la “rivoluzione” o tentare il colpo di mano è nel novero delle cose possibili: hanno le leve del potere economico e soprattutto della comunicazione, strumento fondamentale in una società non più influenzata da culture politiche, ma dalla capacità di produrre emozioni, eventi, spettacolo. In una situazione del genere basta lavorare, sapientemente, con televisioni ed internet (face book ed altri) per accendere la miccia.
Ancora una volta assistiamo così a conflitti che si ripetono nella storia di questo Paese ove periodicamente una minoranza organizzata riesce a comprimere i veri interessi dei ceti produttivi e dei lavoratori di ogni settore, pur di conservare gli enormi privilegi che negli anni ha accumulato, al riparo di ogni limitazione propagata per tutti gli altri. Sono anni ed anni che la televisione, tra una partita di calcio e l’altra, un giorno si e l’altro pure, ammansisce le masse di cittadini convincendola che purtroppo il Mercato, la Cina, la Globalizzazione, impongono di stringere la cinghia.
Dunque il paradosso è che mentre in Tunisia, in Egitto ed altrove le masse depauperate dalla crisi e da sistemi ingiusti (le loro Caste) si ribellano, qui da noi sentiamo suonare la tromba da parte dei soliti noti, ricchi e stragarantiti, che chiamano a raccolta i tanti cittadini “per difendere la democrazia”.
Vedremo, sarà interessante capire quanti operai di Marchionne seguiranno i Faziofabio a 2 milioni di euro all’anno.