martedì 30 novembre 2010
IL Conformista
In epoche passate i lavoratori della terra e delle officine di paese la domenica mettevano il vestito buono e compravano il quotidiano importante (a Napoli lo chiamavano “u Matin”, ovvero “Il Mattino”) e tutto quello che era contenuto o non era citato nel giornale valeva come verità assoluta per la settimana a venire. Molto di questo comportamento vale ancora oggi, per dire che antropologicamente è difficile cambiare. Il conformismo degli attegiamenti e delle opinioni ha campo facile con mezzi di comunicazione più pervasivi del quotidiano di un tempo e dunque ciò che prevale nella vulgata comune è un blob dove molti si tirano addosso frasi e pensieri lanciate da opinionisti a gettone e intellettuali anch’essi a pagamento.
Su questioni cruciali possono accadere miracoli ovvero che da parte di persone profondamente impegnate in studi escano fuori con dichiarazioni assolutamente spiazzanti, come nel caso del rabbino Adin Steinsaltz, presente in questi giorni a Roma per illustrare la sua traduzione del Talmud. Fra gli argomenti che si sono susseguiti nel dibattito si è parlato anche di Shoah e Steinsaltz a tale proposito ha affermato che “la religione della Shoah è una religione immorale, essere perseguitato non mi rende né più giusto né sapiente, voglio essere ebreo grazie al Signore e non perché sono stato perseguitato”. Vaglialelo a dire a chi vende emozioni facili in televisione.
Si può essere colpiti, rimanendo in argomento, anche da romanzi, oggi dimenticati, come il voluminoso “La Storia”, di Elsa Morante, il quale racconta la vicenda di una famigliola ebraica nell’Italia degli anni ’30 e poi nel corso della Guerra e negli anni della ricostruzione. Disperazione, penuria di mezzi, minacce, negli anni che hanno visto la morte, secondo le più diverse stime di 50-70 milioni di persone nella sola Europa. Il Romanzo, intitolato, non a caso, “La Storia”, racconta come l’essenza del male può concentrarsi nella vicenda della singola persona come espressione dell’Umanità intera. Useppe, il figlio della protagonista, muore e la sua morte vale quanto quella di tutti gli altri che hanno avuto termine nella carneficina della Guerra.
Quando si leggono e si ascoltano cose intelligenti fa piacere, quanto dispiace leggere e ascoltare prediche conformistiche che oggi vanno per la maggiore.
sabato 27 novembre 2010
Come eravamo
Altri tempi!
Mentre crollava la I Repubblica le nuove leve rinnovate si legittimavano reciprocamente (si prega di ascoltare i due interlocutori dopo la lunga premessa di Mentana).
Mentre ogni altra posizione politica veniva relegata a frangia marginale in quella tornata elettorale, Occhetto e il Cavaliere si mostravano come leader del finalmente raggiunto Bipolarismo: il “Lib-Lab” tanto sognato. Conservatori e progressisti, ma tutti fondamentalmente liberali, ovvio.
Cosa è successo nel frattempo? Perché ad un certo punto(subito dopo quelle elezioni, per la verità) il clima di reciproca stima ha lasciato il passo alla successiva guerriglia politica? Discorso lungo.
Conviene invece porre mente al fatto che contemporaneamente, in quei mesi e poi sempre più negli anni a venire, si metteva in vendita il grosso patrimonio pubblico del Paese, si avviavano le truffaldine privatizzazioni dei servizi, si costruiva il castello della II Repubblica che oggi tutti guardano con sfiducia.
La sensazione che si avverte è che da allora in poi la contesa politica ha riguardato semplicemente il confronto tra diversi direttori d’orchestra, mentre lo spartito era comune.
La stessa sensazione che si ha oggi quando si intravvede dietro la polemica quotidiana un gioco di posizionamento per mostrarsi più capaci di privatizzare e regalare ai soliti noti quello che ancora rimane delle risorse e delle garanzie pubbliche. Il meglio della commedia dell’arte: Arlecchino e Pulcinella che si scannano per far ridere i padroni.
mercoledì 24 novembre 2010
martedì 23 novembre 2010
“Les armes nucléaires américaines en Europe bientôt rassemblées en Italie”

“Les armes nucléaires américaines en Europe bientôt rassemblées en Italie”. Questo il titolo di un sito d’informazione (“La Tribune”). Non ci vuole molto per tradurre e comunque basta fare una ricerca per cogliere qualche altra fonte che descrive la questione in italiano.
In pratica, la Nato ha discusso circa la dislocazione e la conservazione delle bombe nucleari in Europa e si è deciso da parte dei rappresentanti dei diversi Stati (per l’Italia governa Berlusconi) che le duecento bombe atomiche presenti in vari depositi europei debbano concentrasi in uno solo Stato. Pare che il Cavaliere si è detto pronto ad accogliere le duecento bombette per ammassarle alle altre 80 che “clandestinamente” già si trovano da tempo in Italia.
Clandestinamente significa che: 1) non ci sono informazioni ufficiali in proposito 2) nessuna parte politica (maggioranza o opposizione) ne parla 3) i principali mezzi d’informazione non ne fanno cenno.
Sarebbe interessante che su questo argomento ci fosse un accenno (non dico una puntata intera) nelle tante trasmissioni che ci impegnano sulle sciocchezze quotidiane.
Sarebbe interessante che il Faziofabio ed altri, che meritoriamente si occupano di rifiuti organici, differenziati e pericolosi, parlassero anche di questi pericolosi ed eterni rifiuti….ma chissà forse ne parleranno tra venti anni, quando avranno il permesso di parlarne e quando sarà politicamente corretto parlarne.
Se ne potrebbe parlare sui tanti canali internettiani che ospitano discussioni.
Ma che!? Sta settimana (l’abbiamo capito) si parla di Carfagna!!!
E vai col dibbattito!
domenica 21 novembre 2010
Uscire dall'euro

La crisi è passata, si diceva nelle scorse settimane. Non è vero, come si legge negli ultimi giorni. Dopo la Grecia spunta l’Irlanda e il Portogallo non sta tanto bene. Tra i Paesi malati ci sono la Spagna e dunque l’Italia. Mentre ci trastulliamo con le sciocchezze della politica e della televisione, dove la formula del reality viene largamente usata per distrarre le masse, un economista di vaglia come Paolo Savona (già ministro nel governo Ciampi!) propone l’ uscita dell’Italia dall’euro.
I segnali di aggravamento della crisi sono evidenti, basta ascoltare o leggere le dichiarazioni, tra i tanti, degli stessi commissari europei. Van Rompuy: "Siamo in una crisi di sopravvivenza. Dobbiamo lavorare tutti insieme per sopravvivere con la zona euro, perché se non sopravviviamo con la zona euro non sopravviveremo con l'Unione europea ". La situazione è talmente seria che si comincia ad accusare la troppa democrazia delle istituzioni pubbliche, perché ritenuta un ostacolo per il perseguimento degli obiettivi economici .
Savona propone di uscire dall’euro per dare competitività ai prodotti italiani e riprendere dunque il controllo della moneta, oggi delegato alla BCE. Segue la necessità di ripudiare il debito, almeno quello in mano straniera. Insomma propone di ripercorrere la strada scelta dall’Argentina, quando alcuni anni fa dette picche al Fondo monetario internazionale. Prende atto che il sistema non funziona: dopo aver permesso alle banche di elargire mutui a privati ed enti a mani piene, oggi i governi prestano soldi alle banche che a loro volta investono in titoli pubblici, piuttosto che stimolare la crescita. Un circuito perverso.
Il ripudio del debito è stato evocato già da diverso tempo dal Ministro Tremonti, il quale risulta apprezzabile quando si pronuncia sul piano della riflessione culturale, per esempio quando ricorda la funzione del Giubileo nell’Antico testamento (ovvero, la rimessione periodica del debito).
Quali sono le difficoltà per percorrere la strada indicata da Tremonti e da Savona?
Le difficoltà sono note e subite mostrabili da parte dei cultori dell’Europa dei banchieri (sono la stragrande maggioranza in Italia) ma la più evidente è quella non dichiarata. La preoccupazione non è per le ristrettezze in cui ricadrebbe la popolazione, ormai adusa a rinunciare al superfluo e ad altro, vista la crisi. La vera difficoltà è data dalla irrinunciabilità ai privilegi della Casta, che in questo Paese è vasta.
Nella scorsa trasmissione di Santoro registi ed attori si sono fatti riprendere dinanzi alla Fontana di Trevi, a Roma, per invocare benefici fiscali e finanziari per il cinema. Il tempo concesso per questa manifestazione è stato notevolmente più esteso di quello concesso ala solita manifestazione di operai sui tetti di una fabbrica. Basterebbe questo raffronto per comprendere che è difficile immaginare vie di uscita da questa crisi perché le rinunce e i sacrifici oggi riguarderebbero i ceti dirigenti, di ogni ambiente, i quali sono pronti a fare barricate per difendere il loro stato. Loro lo sanno fare, sanno usare radio, televisione, internet, non hanno bisogno di scendere per strada, non rischiano i manganelli e sanno farsi beffa di tutti perché sono coscienti che in un Paese dove si produce sempre di meno conta chi tiene in pugno lo scettro del comando pubblico. Altro che mercato!
P.s.: Il popolo non andrà sulle barricate nemmeno la prossima settimana perché è già pronto il tema di “dibbattito”: la Carfagna minaccia le dimissioni..le curve opposte dei tifosi prendono posto per affrontarsi. Attendono il gong di Ballarò!
mercoledì 17 novembre 2010
Faziofabio e Lele Mora

Quanto sarebbe stato facile per Madre Teresa di Calcutta dare il viatico ai tanti bisognosi, derelitti, nel corpo e nella mente, invece che dare aiuto e conforto? Cosa distingue la misericordia verso le sciagure altrui e le soluzioni semplici basate su ovvie e banali considerazioni di ordine individuale che vengono offerte e imposte a tutti? Quali sono i fondamentali di una cultura che riduce l’uomo a oggetto materiale, che usa e viene usato e che nel momento del bisogno va accantonato perché non utile, anzi dannoso per la vita degli altri?
Viviamo in un mondo sempre di più caratterizzato dalla cultura del consumo, dei beni, dell’ambiente, della vita stessa. I mezzi d’informazione espongono una concezione della vita ove tutto è possibile e ogni limite può essere varcato, ove la sofferenza stessa è relegata come intralcio e non come una delle possibili e reali circostanze della condizione umana.
C’è chi giorno per giorno si fa carico della sofferenza altrui e chi la vive con accettazione del male proprio e di quello degli altri.
C’è chi considera il malato come risorsa da spremere, per il profitto che genera. E c’è chi si preoccupa se il malato diventa costoso. Nei paesi anglosassoni (USA, Inghilterra) ove il sistema sanitario è regolato sull’ esborso procapite per costose polizze di assicurazione è nata tempo fa (ma il discorso ha anche altre sfaccettature) l’avvio di una campagna di simpatia verso la liberalizzazione, più o meno accentuata, dell’eutanasia.
La banalizzazione dell’effetto morte attraverso la sapiente organizzazione di spettacoli incentrati su casi particolari tende ad ottenere l’obiettivo di “profittizzare” rendere compatibile i costi con i ricavi dell’assistenza verso il malato grave.
In fondo tutto si collega nel mondo dominato dal capitalismo selvaggio. La precarietà del lavoro, la precarietà dei legami familiari, la precarietà del rapporto di cittadinanza tra individuo e comunità, non può che recare anche questo effetto. Come è concepibile in un mondo dominato dai Lele Mora e dal Bungabunga la dimensione della sofferenza?
Che il Faziofabio, con la sua furbesca banalità, offra il suo aiuto per queste campagne “culturali” non meraviglia più di tanto. Lui e Lele Mora parlano la stessa lingua…e si danno una mano.
domenica 14 novembre 2010
Argomenti essenziali

Il Sole 24 Ore riportava già nell’ottobre 2006,gli importi, in euro e al lordo, dei vertici delle forze dell’ordine e delle forze armate in Italia. Non è facile avere cifre aggiornate da allora, ma in ogni caso sono cifre significative di quello che è un fenomeno che è presente per tutte le qualifiche alte dell’amministrazione pubblica in Italia.
Vediamo: Capo della Polizia 650.000 - Comandante Generale Arma Carabinieri 380.000 -Comandante Generale Guardia di Finanza 390.000 -Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria 500.000 -Direttore Generale Corpo Forestale Stato 360.000 -Capo Stato Maggiore 380.000.
Queste cifre fanno il paio con le cifre, anche più alte, che riguardano dirigenti delle grandi imprese private e di quelle pubbliche. In questi giorni sono all’attenzione di tutti gli stipendi delle vedette della RAI. Sappiamo quello che succede nelle regioni e negli altri enti locali e nelle altre amministrazioni pubbliche.
L’introduzione dell’euro doveva servire anche a confrontare facilmente il costo di beni e servizi nei paesi europei, permettendo una più razionale valutazione di costi e benefici. In Italia evidentemente non si coglie quest’ utilità nel dibattito sulle cose dell’economia e soprattutto sui costi dell’amministrazione pubblica.
Altra considerazione: in questi anni vi è stata una crescita degli emolumenti per le qualifiche alte dell’amministrazione pubblica, così come avvenuto nel settore privato, a danno di tanti altri che hanno visto sempre più precarizzato il rapporto di lavoro e da un certo punto in poi gli stipendi. Il dibattito dunque dovrebbe sottolineare queste particolarità della modernità dei nostri tempi. Niente, di questo non si parla.
Dai giornali di aprile 2010 si legge: “Siamo pagati decisamente troppo per un lavoro che è anche vocazione e che avremmo svolto, se non gratis, certamente anche con emolumenti più bassi. E' questa la sostanza della lettera che sir Norman Bettison, il capo della polizia del West Yorkshire, uno dei massimi ufficiali degli agenti di Sua Maestà. Secondo cui il compenso di 213 mila sterline - circa 241 mila euro - con l'aggiunta dei relativi pacchetti pensionistici è troppo elevato.”
A quanto pare in questo Paese non si discute delle cose essenziali e non si utilizzano gli argomenti fondamentali per affrontare la realtà.
P.s. : per chi attende l’uomo della provvidenza alla guida del Governo, ovvero il gran commis Mario Draghi, si tenga presente che il Governatore di via Nazionale, Mario Draghi, percepisce circa 450 mila euro: il francese Noyer non supera i 142 mila, mentre il tedesco Weber raggiunge appena i 101 mila.
In ogni caso meno dei 750.000 di Ciampi. Con buona salute!
sabato 13 novembre 2010
martedì 9 novembre 2010
La fabbrica dei debiti

"Tremonti ha esposto il quadro di riferimento che è molto stretto dal punto di vista finanziario. Le esigenze minime sono di 7 miliardi, la copertura al momento è di 5 miliardi".
E’ il 9 novembre e il Ministro del tesoro dà questi pochi numeri per dire che per pareggiare le richieste con le disponibilità occorrono 2 miliardi, da trovare in qualche modo o in qualche luogo. Il tutto tenendo comunque fermi i terribili numeri relativi al debito pubblico e gli interessi da pagare.
La guerra della finanziaria ancora una volta occuperà le ultime settimane dell’anno politico e d’incanto, come già ordinato da Napolitano e accettato da tutti i leaders dei partiti, tutte le polemiche e gli attriti di questi ultimi mesi si acquieteranno, se ne riparlerà a gennaio.
Lo scontro sul tema però ci sarà, perché un po’ ciascuno avrà da chiedere l’ulteriore mancia per i protetti, per il proprio comune, il centro studi, la fondazione, per i tanti rivoli in cui si diparte la spesa pubblica in Italia. Ovviamente oltre quello che già viene versato a milioni e miliardi per le diverse voci di spesa che compongono il bilancio in uscita.
All’inizio di questa crisi il Presidente della repubblica del Messico dispose la riduzione del dieci per cento del proprio stipendio, di quello dei ministri e dei dirigenti pubblici. Probabilmente, per caduta, il taglio avrà riguardato anche gli altri livelli (medio alti) del pubblico impiego in quel Paese.
In Italia oltre ai tagli lineari e ai blocchi contrattuali non abbiamo visto nulla che mostri effettiva capacità di sacrificio da parte delle classi dirigenti ( quella dell’area pubblica e di quella privata, non solo di quella politica).
Mentre crolla Pompei, si allaga il Veneto e Napoli viene coperta ancora una volta dalla spazzatura, tutti sono lì a chiedere il sostegno dello Stato. Ai voglia di parlare di federalismo, qui vogliono sempre lo Stato che paga e si indebita, nulla cambia.
Sarebbe bello se nella discussione pubblica si cominciasse a raffrontare le cose facendo nomi e cognomi, circostanze e scelte. Quanti sindaci chiedono i soldi dello Stato e non sanno rinunciare ad una “Notte bianca”? Quanti sindaci non sanno rinunciare alla Piedigrotta con Elton Jhon, mentre non fanno la raccolta differenziata? Quante regioni finanziano la “Fabbrica delle veline” mentre i trasporti pubblici sono da terzo mondo?
Quando realizzeremo che i due milioni di Faziofabio non sono più possibili per un’azienda che macina debiti giorno per giorno?
Bisognerebbe parlare in questi termini mettendo a confronto realtà che ormai sono notevolmente distanti ed ingiuste, ma non possiamo farlo perché qui molti precari sono in attesa dell’indennità di disoccupazione, del reddito di cittadinanza, del sussidio, cioè di quelle mance che servono a tenere buona la plebe.
Ieri Niki Vendola in televisione, da Faziofabio, ci addottorava sui sinonimi della parola “gay”. E questa sarebbe la sinistra estrema?......siamo davvero alla frutta!
domenica 7 novembre 2010
Condominio Italia
Dai giornali: “Firenze - Nessuna introduzione, nessuna relazione iniziale. La liturgia da Conferenza programmatica viene spazzata via dalla voce metallica che apre la serata: "Vi preghiamo di prendere posto e di lasciarlo dopo tre mandati. Di non aprire i finestrini perché qui non vogliamo correnti".
Nel giorno in cui a Pompei la “scuola dei gladiatori” implode su se stessa, la politica di sabato 6 novembre offre tanti raduni nazionali ove leader stagionati e nuovi rampolli dibattono di cosa và e cosa non và in questo Paese.
I segnali vanno interpretati come tali, ovvero come indicatori di quello che avviene e soprattutto di quello che può accadere o di quello che al momento non è ancora perfettamente evidente. Non è un esercizio strano, Umberto Eco ne ha fatto mestiere di questa capacità.
L’Italia è praticamente sull’orlo del baratro, che prima di essere economico, mette in pericolo la coesione nazionale e sociale. Le cause sono tante, sono antiche e più recenti, alcune sono proprie di questo Paese, altro viene da fuori.
Il dibattito politico di questi giorni non tocca le ragioni di questa crisi, riguarda un regolamento di conti tra oligarchi, appartenenti alla casta come è meglio dire, e non mette in evidenza i motivi di quello che non và. Chi ha ascoltato o letto degli interventi spiegati a Perugia, a Roma, a Firenze, tra Berlusconi, Fini, Bersani e Renzi ed altri, potrà capire perché questo Paese è nella condizione precaria in cui si trova. Quello che risulta grave nella politica italiana è l’assoluta incapacità di analisi della situazione. Il battibecco tra giovani e anziani, tra innovatori e riformatori nulla offre per capire il perché di una situazione così degradante.
Qui non si pretende che si abbia la capacità di offrire facili soluzioni, ma almeno che questi leader avessero la capacità di analizzare cause e ragioni di quello che non và.
La rivoluzione che ha attraversato l’Italia in questi ultimi anni ha riguardato tutta l’Europa e altre nazioni. Come è possibile discutere dei problemi di questo Paese senza riferirsi alle origini di questo percorso, a come lo si è affrontato, quali sono i risultati dell’importazione di modelli economici, sociali, organizzativi? Come è possibile discutere di precariato se non si relazione questo problema al modello economico che con tanto entusiasmo la classe politica Italiana ha importato, discutendo magari di chi ci guadagna e di chi ci perde?
Di tutto questo, e di tanto altro ancora, silenzio! Il vano rincorrersi tra riformatori, rottamatori, innovatori, ancora una volta potrà entusiasmare i neofiti della politica, ma non sarà di alcun aiuto per indicare prospettive di uscita da una situazione di crisi, grave e generale, che prende l’Italia e l’intera Europa.
Il buon Romano Prodi, diceva che le culture politiche di prima non servivano più e dunque bisognava fare il “Partito degli amministratori”. Sembra che il suo intento sia stato raggiunto. Quello che vediamo in opera è appunto una squallida assemblea condominiale in cui capetti giovani e anziani si imbeccano giorno dopo giorno, declamando su maggiori o minori capacità sulla manutenzione del viale o della fontana, ma incapaci di guardare oltre la soglia che dà sulla strada. Evidentemente, innovatori, riformatori , rottama tori e rottamati, sentono che sulle strade e nelle piazze non contano niente.
Nel giorno in cui a Pompei la “scuola dei gladiatori” implode su se stessa, la politica di sabato 6 novembre offre tanti raduni nazionali ove leader stagionati e nuovi rampolli dibattono di cosa và e cosa non và in questo Paese.
I segnali vanno interpretati come tali, ovvero come indicatori di quello che avviene e soprattutto di quello che può accadere o di quello che al momento non è ancora perfettamente evidente. Non è un esercizio strano, Umberto Eco ne ha fatto mestiere di questa capacità.
L’Italia è praticamente sull’orlo del baratro, che prima di essere economico, mette in pericolo la coesione nazionale e sociale. Le cause sono tante, sono antiche e più recenti, alcune sono proprie di questo Paese, altro viene da fuori.
Il dibattito politico di questi giorni non tocca le ragioni di questa crisi, riguarda un regolamento di conti tra oligarchi, appartenenti alla casta come è meglio dire, e non mette in evidenza i motivi di quello che non và. Chi ha ascoltato o letto degli interventi spiegati a Perugia, a Roma, a Firenze, tra Berlusconi, Fini, Bersani e Renzi ed altri, potrà capire perché questo Paese è nella condizione precaria in cui si trova. Quello che risulta grave nella politica italiana è l’assoluta incapacità di analisi della situazione. Il battibecco tra giovani e anziani, tra innovatori e riformatori nulla offre per capire il perché di una situazione così degradante.
Qui non si pretende che si abbia la capacità di offrire facili soluzioni, ma almeno che questi leader avessero la capacità di analizzare cause e ragioni di quello che non và.
La rivoluzione che ha attraversato l’Italia in questi ultimi anni ha riguardato tutta l’Europa e altre nazioni. Come è possibile discutere dei problemi di questo Paese senza riferirsi alle origini di questo percorso, a come lo si è affrontato, quali sono i risultati dell’importazione di modelli economici, sociali, organizzativi? Come è possibile discutere di precariato se non si relazione questo problema al modello economico che con tanto entusiasmo la classe politica Italiana ha importato, discutendo magari di chi ci guadagna e di chi ci perde?
Di tutto questo, e di tanto altro ancora, silenzio! Il vano rincorrersi tra riformatori, rottamatori, innovatori, ancora una volta potrà entusiasmare i neofiti della politica, ma non sarà di alcun aiuto per indicare prospettive di uscita da una situazione di crisi, grave e generale, che prende l’Italia e l’intera Europa.
Il buon Romano Prodi, diceva che le culture politiche di prima non servivano più e dunque bisognava fare il “Partito degli amministratori”. Sembra che il suo intento sia stato raggiunto. Quello che vediamo in opera è appunto una squallida assemblea condominiale in cui capetti giovani e anziani si imbeccano giorno dopo giorno, declamando su maggiori o minori capacità sulla manutenzione del viale o della fontana, ma incapaci di guardare oltre la soglia che dà sulla strada. Evidentemente, innovatori, riformatori , rottama tori e rottamati, sentono che sulle strade e nelle piazze non contano niente.
mercoledì 3 novembre 2010
Cavalieri libertini
La Nadia Macrì, protagonista del quotidiano scandalo giornalistico giudiziario che coinvolge il Cavaliere afferma”Quella sera c'era una grande festa a casa Berlusconi. C'erano persone famose, cantanti, imprenditori, avvocati, notai. Poi gli altri andavano via e solo noi ragazze ci alternavamo con il presidente".
Eugenio Scalfari nel suo articolo del 5 ottobre scrive”L'amore romantico non è scomparso ma è divenuto mobile. Sempre più raramente dura per tutta la vita. Si realizza nella fase iniziale dell'innamoramento, si trasforma dopo qualche tempo in affetto e poi in amicizia. Infine la coppia si scompone e si ricompone con altri soggetti e altri innamoramenti. Sono segmenti di amore romantico al posto della linea retta dell'amore ottocentesco. È a questo punto che l'amore verso l'amore riacquista peso e può - potrebbe - intrecciarsi alla solidarietà laica e alla «caritas» cristiana verso il prossimo, con uno spessore sociale in grado di soverchiare l'egoismo esasperato e l'amore egolatrico verso il proprio ombelico. Questa è la scommessa affidata al futuro: un mondo dove l'essere assume una curvatura erotica capace di avere la meglio sull'istinto del potere.”
A questo punto sarebbe facile dire che le cose combaciano, ovvero la cultura laica e libertina tanto caldeggiata dal vate Eugenio, viene praticamente vissuta, sia pure in forme boccaccesche, dal Berlusconi. Laddove i potenti raffinati, della stampa, della politica, delle comunicazioni e dello spettacolo, nascondono, celano, con parole d’ordine, magari come nel film di Kubrick, il Cavaliere rende tutto più facile, più semplice, scherzoso.
Tutto qui?! Cos’altro c’è?
Rimane sempre la convinzione che certo cinema e certi registi,non parlano a vanvera e loro rappresentazioni non sono altro che suggerimenti, tracce, sono delle aperture di finestre su mondi non conosciuti, ma che pure esistono. Il “politicamente corretto” non ammette che si parli di queste cose e dunque i grandi autori, sfidando il conformismo dilagante che caratterizza l’informazione, ci offrono delle letture significative, apparentemente fantasiose, di quello che non si vede, di quello che non si dice.
Dopo aver girato “Eyes wide shut” il regista Stanley Kubrick improvvisamente morì, forse aveva detto troppo.
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